Se non ora, quando? SEMPRE!

donnalotta[ l’intervento delle studentesse del collettivo ‘Aca Toro alla manifestazione di Mantova e una cronaca della giornata da ilmegafonoquotidiano.it ]

Sono giorni che i media ci ripetono i dettagli del rubygate dove i protagonisti sono: il vecchio stempiato con la panza (nei panni di Berlusconi) e ragazze giovani e belle. Sono giorni che il dibattito politico viene monopolizzato dalla scandalistica di palazzo, e nasconde ogni altra questione sotto il tappeto dell’informazione usa e getta. Di Ruby ne parlano tutti e la cosa che spaventa è il modo.

Da una parte i benpensanti che fanno e non dicono si scandalizzano per una storia sesso non taciuto, dall’altra la donna perbenista, reputandosi indignata, scaglia la sua crociata contro l’offesa arrecata all’immagine del paese. In mezzo c’è invece il punto centrale: il machismo, il sessismo, la mancanza di dignità e diritti di cui governi e patriarcato vestono la donna.

Non arrivare al nocciolo del problema è una caratteristica peculiare di questo Sistema: così è stato per le macerie aquilane, per la gestione delle emergenze ambientali e così è per la sottrazione continua di diritti nel mondo del lavoro, per l’incuria nei confronti dei beni artistici e culturali, per le decine di migliaia di insegnanti costrette ad emigrare da Sud a nord in cerca dell’ennesimo contratto precario.

Il 13 febbraio, le donne sono chiamate ad indignarsi… ma ci sarebbe stato un 13 febbraio in assenza di un “caso Ruby”?!
Noi rivendichiamo un 13 febbraio tutti i giorni, perché la dignità e la libertà delle donne è messa in discussione non da scandali sessuali ma da un sistema culturale economico e sociale che in continuazione schiaccia e opprime la donna, costringendola ad assumere esclusivamente i ruoli preconfezionati: o santa o puttana!

Cala una coltre pesantissima di silenzio su tutte le forme di violenza che le donne subiscono in questo paese, in casa, in famiglia, sui luoghi di lavoro, per le strade, nei luoghi di detenzione e reclusione. Viviamo in un paese in cui proprio gli stupri di “strada” sono stati utilizzati dalla propaganda politica come motivazione dell’impellente necessità di approvare pacchetti sicurezza e leggi restrittive, le quali hanno generato tra l’altro l’affollamento di prigioni e l’istituzione di lager di stato come i C.I.E.

Se proprio nei C.I.E si consumano stupri ed abusi sul corpo di donne immigrate (quindi ritenute “figlie di un dio minore”) da parte di italianissimi sbirri, ci chiediamo come si possa rivendicare la difesa di una dignità femminile tutta italiana! Viviamo in un paese in cui, anche con il pretesto della crisi economica, assistiamo ad un arretramento costante di diritti e libertà nel mondo del lavoro.

Questo attacco ai diritti è giocato principalmente sul corpo delle donne, private della libertà di scegliere se essere madre o non esserlo. Questo è merito della cancellazione o alla difficoltà ad accedere a strutture sanitarie o allo smantellamento dello stato sociale, di cui le donne sono diventate sostitute non pagate. Come dimenticare le donne che ancora oggi muoiono di parto, a cui viene negato il diritto di abortire, la somministrazione di farmaci e la possibilità di scegliere la prevenzione?

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Le donne rompono gli argini

Flavia D’Angeli

Oggi nelle piazze delle donne, e di tanti uomini, sono emersi finalmente in superficie la rabbia e il malcontento che covano nella società italiana. E’ bastato fare un appello alla mobilitazione, peraltro non molto radicale, perché centinaia di migliaia di persone lo raccogliessero come se non aspettassero altro, da tanto, troppo tempo.
La crisi permanente in cui è precipitato il governo Berlus coni, e gli scandali oltre ogni misura che stanno accompagnando quello che ci auguriamo sia un non troppo lento tramonto, hanno fatto da denotatore a un’indignazione che non poteva continuare a essere né negata, come continuano a fare grottescamente gli accoliti del premier, né repressa come ha fatto finora il Partito Democratico, ed in parte anche la direzione della Cgil che si ostina a non “vedere le condizioni” per convocare uno sciopero generale.
E’ difficile fare una radiografia a caldo della composizione e degli umori politici delle centinaia di migliaia di persone che sono andate in piazza, è però evidente come una parte significativa di elettorato delle opposizioni, e in particolare del Pd, ha colto l’occasione per manifestare, rompendo gli argini delle timidezze e dei tatticismi dei suoi dirigenti. Accanto a questo, però, si è visto anche un protagonismo di donne che, come il 24 novembre del 2007 nella manifestazione di Roma “contro la violenza” sembra covare nella società italiana in attesa del momento buono per emergere. Un protagonismo denso di rabbia, di voglia di affermare diritti e dignità, magari privo di obiettivi o di una “piattaforma” politica ma comunque desiderso di esserci. E anche dotato di una buona dose di radicalità che ha portato, ad esempio, a un’accoglienza calorosa dell’iniziativa di “attraversamento” di piazza del Popolo messa in campo da diversi collettivi femministi e di movimento della capitale.
Le compagne dei collettivi femministi studenteschi e giovanili, assieme a quelle del centro antiviolenza Donna Lisa e a quelle dei centri sociali, insieme a tante altre femministe, hanno infatti deciso di partecipare alla giornata di mobilitazione (vedi articolo sotto) facendo emergere una denuncia complessiva delle politiche patriarcali e lesive dei diritti delle donne che caratterizzano l’azione di questo governo, e che troppo spesso hanno trovato consenso o scarsa opposizione nelle sinistre moderate.
Rifiutandosi, inoltre, di cadere nella trappola della mobilitazione delle donne “perbene” contro quelle “per male” che pure ha accompagnato, almeno all’inizio, alcuni autorevoli appella alla mobilitazione.
Fin dalla mattina centinaia di donne hanno manifestato davanti al ministero del Welfare in Via Veneto, depositando simbolicamente davanti al portone una serie di pacchi regalo che rappresentavano i doni “non graditi” (e quindi restituiti) che governo e padronato hanno fatto alle donne: legge 40 sulla procreazione assistita, innalzamento dell’età pensionabile, attacchi alla legge 194, tagli al welfare, pacchetto sicurezza e persecuzione della prostituzione di strada ecc.
Il corteo ha poi proseguito fino al Pincio per scendere in Piazza del Popolo al grido di “siamo tutte egiziane, sciopero generale” tra gli applausi delle tantissime donne presenti che non riuscivano più ad entrare in una piazza stracolma. Il corteo delle femministe, quindi, ingrossatosi via via raccogliendo molte donne dentro e fuori la piazza, ha continuato a sfilare per il Lungotevere per arrivare fino a Montecitorio dove, scavalcando le transenne, le donne hanno depositato altri “pacchi-regalo” davanti al portone del Parlamento.
L’enorme successo della giornata di mobilitazione odierna chiede continuità ed un impegno in questo senso ai soggetti sociali, sindacali, politici che hanno animato le piazze, o per lo meno alle sue espressioni più consapevoli e radicali, per mettere in campo, finalmente, un movimento generalizzato di opposizione al governo e alle sue politiche, e che raccolga la crescente rabbia sociale prodotta dalla crisi economica e dal fatto che governo e padronato continuano a farla pagare a lavoratori e lavoratrici. A Susanna Camusso, che parlava dal palco di Piazza del Popolo, bisognerebbe chiedere “se non ora quando…lo sciopero generale?”. A Berlusconi, asserragliato nel palazzo, bisognerebbe dire, come le piazze tunisine ed egiziane, “se non ora, quando…te ne vai a casa?”.
Le piazze di oggi, come quelle degli studenti di dicembre o le urne di Mirafiori piene di No, dicono che nonostante lo stato comatoso della sinistra istituzionale, la società italiana è tutt’altro che pacificata ed è sempre meno disponibile a pagare la loro crisi !

(di Luca Laviola e Lorenzo Attianese) (ANSA) – ROMA, 13 FEB – C’erano solo i turisti a passeggio e una trentina di persone in fila per visitare Montecitorio quando le donne hanno fatto irruzione nella piazza. Almeno duecento, armate solo di slogan e cartelli, sono arrivate fino al portone d’ingresso della Camera dei deputati. Carabinieri e polizia, presi un pò di sorpresa dal blitz festoso, si sono messi rapidamente tra le manifestanti e i tre accessi che si aprono nella facciata. Il blitz di un drappello di partecipanti a ‘Se non ora quando?’, staccatosi dal raduno del Pincio, è servito per depositare davanti a Montecitorio una decina di pacchi colorati con riferimenti ad alcune leggi volute o minacciate, secondo gli autori, dal governo Berlusconi: quella sull’aborto, quella sulla procreazione assistita, il pacchetto sicurezza, tra le altre. I ‘regalì sono stati poggiati a terra sopra uno striscione con la scritta ‘Nel Palazzo regna il c…., diamoci un tagliò. Tutto si è svolto in modo pacifico. Le donne, molte vestite di rosso o con oggetti rossi come gli ombrelli – il parapioggia di colore rosso è un simbolo delle escort, a quanto pare – con il supporto di alcuni compagni e di un megafono hanno scandito slogan contro il presidente del Consiglio, chiedendone le dimissioni. Dopo qualche minuto i manifestanti si sono praticamente dileguati, lasciando di nuovo la piazza ai romani e ai turisti e i doni per i parlamentari. Questi ultimi sono stati accatastati dagli agenti vicino a uno degli ingressi della Camera. A quel punto però è scattato l’allarme per possibili, analoghi blitz. Davanti a palazzo Grazioli, residenza romana del premier, è stata rafforzata la presenza dei carabinieri. Ma l’unica emozione l’ha data un gruppo di boyscout vocianti che da piazza Venezia, a un centinaio di metri di distanza, urlando ha percorso via del Plebiscito diretti alla casa di Silvio Berlusconi. Per qualche secondo si è pensato che potessero essere altri partecipanti alla manifestazione pronti a un nuovo assalto pacifico. Invece erano una decina di bambini di 10-12 anni, probabilmente stranieri, che gridavano i loro motti. La colonna di piccoli pionieri ha svoltato per una traversa laterale giusto di fianco a palazzo Grazioli. E anche i carabinieri hanno riso mentre un ragazza in bicicletta sfrecciando lì vicino, gridava loro «bunga bunga».