Il senso dell’anticapitalismo oggi

Pubblichiamo la versione estesa della nostra lettera pubblicata oggi dalla Gazzetta di Mantova. É una risposta al poco attento consigliere comunale di Forza Italia Pierluigi Baschieri, che lamentava l’assenza di una festa degli imprenditori nonostante la festa anticapitalista (a lui sconosciuta) giunta alla sesta edizione.

Nell’attaccarci ha usato la solita retorica filo liberale sulle potenzialità del mercato nell’autoregolarsi e nel produrre progresso, fino a contraddirsi.

Gli abbiamo risposto, provando a mettere in luce quelle grosse contraddizioni per le quali diventa non solo doveroso, ma necessario l’anticapitalismo oggi.

La Gazzetta di Mantova non ha perso comunque occasione per stigmatizzare la nostra azione politica dal basso, intitolando la lettera “l’attualità del pensiero di Carlo Marx”. Notare l’italianizzazione del nome, procedura usuale nella prima metà dell’ 900. Non c’è che dire, molto raffinato come strumento per denigrare un pensiero: mettergli un titolo che sembra datato, nonostante avessimo inviato il nostro con “il senso dell’anticapitalismo oggi”.
Bravi, però ora andate a ritirare l’ennesima mazzetta da Colannino.

 

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Il senso dell’anticapitalismo oggi

Rispondiamo volentieri alla lettera del consigliere comunale di Forza Italia Baschieri e lo ringraziamo sentitamente per averci dato così tanti appigli attraverso i quali esprimere il nostro pensiero sull’attuale fase di depressione economica.
Proprio la nascita di Forza Italia ha spinto (centro-sinistra compreso) verso una politica distante dai problemi dei cittadini, ma molto vicina alle richieste dell’economia e del mondo imprenditoriale. Una politica che più si allontanava dalle masse che lottano per un posticino (magari precario) nel mercato del lavoro, più si sbracciava per dire che imprenditori e lavoratori sono tutti uguali, che basta “discutere di quali strumenti attivare per uscire da questa pesante crisi economica”.
È molto facile ironizzare sulla Gazzetta di Mantova sui “collettivi” o sul “Capitale” di Marx ed Engels, magari diventa un po’ più difficoltoso farlo nel momento in cui questi vengono citati dal New York Times o quando il Sole24Ore (sì il giornale degli imprenditori) parla chiaramente di stratificazione sociale sempre più verticale nel nostro paese.
Che piaccia o meno, l’analisi marxista sui rischi dell’alienazione della forza lavoro, delle crisi di sovrapproduzione del capitale e della tendenza a creare monopoli, rimangono attualissime, a detta degli stessi capitalisti.
Quindi partiamo da un analisi materiale della situazione invece che dalle strombazzate sulla sconfitta del socialismo reale o sul fatto che i lavoratori, ricattati come non mai, siano costretti a tornare di corsa nelle fabbriche.
La globalizzazione è un aspetto centrale del capitalismo che tende ad allargare i mercati in cui opera fin dall’800. La cosiddetta libera impresa (che mai libera è stata, date le differenze di partenza tra gli attori che partecipano alla competizione e l’utilizzo della guerra per stabilire le gerarchie, fin dalla distruzione della produzione tessile indiana nell’800) ha dato vita man mano ad un’economia mondiale sempre più interdipendente e gerarchizzata.
Si stima, ad oggi, che l’1% della popolazione mondiale detenga il 43% della ricchezza, mentre l’80% più povero acceda solo al 6% delle risorse. Nell’ 800, quando Marx scriveva il Capitale la situazione era assai più ugualitaria, e un imprenditore prendeva solo venti volte di più di un operaio.
Questi cambiamenti accelerano dopo il 1973 quando vengono cambiate le regole dell’economia mondiale stabilite a Bretton Woods all’indomani della fine della Seconda Guerra Mondiale. Si passa ad un sistema economico in cui il valore delle merci viene stabilito non dall’oro, ma dagli andamenti finanziari (molto più instabili) e dove i capitali possono muoversi liberamente nel mondo, senza tenere conto delle differenze di sviluppo e di capacità economica.
Questo fu uno dei motivi non solo dell’indebitamento dell’Africa con la conseguente morte di milioni di persone, ma anche stimolo per gli imprenditori occidentali per delocalizzare la produzione dove il costo del lavoro fosse più ridotto.
L’attuale fase di depressione economica si sta traducendo in una ristrutturazione delle relazioni tra proprietà privata e proprietà collettiva. I piccoli imprenditori, che vengono quotidianamente coccolati, sono carne da cannone di fronte l’avanzata di imprenditori multinazionali alla ricerca del profitto. Dove sta la “mano invisibile” della concorrenza di Adam Smith quando tutti i negozi chiudono, a causa dei supermercati, perdendo il sapere artigiano e il legame con il territorio? Dov’è il benessere creato dalla concorrenza quando le piccole imprese agrarie sono costrette ad inchinarsi al mercato internazionale di frutta e verdura (che ci porterà anche gli OGM dopo l’accordo TTIP che UE e USA stanno discutendo segretamente) ? Dov’è la libera impresa quando, a causa di una lieve discesa nella curva del saggio di profitto, un’azienda decide di chiudere annullando il futuro di un intero territorio (magari lasciandolo “da bonificare”)?
Siamo d’accordo con Lei, e anche Marx, che nel 1848 scriveva che gli artigiani e i piccoli imprenditori vengono convinti di essere anche loro capitalisti, di poter competere nel mercato, ma in realtà sono molto più vicini al proletariato che può vendere la propria forza lavoro. Sono pesci piccoli, che i pesci grossi possono sbranare nei momenti di recessione, spingendoli ai sacrifici più assurdi, fino al suicidio.
A questi rivolgiamo l’appello di riconoscersi subito con gli operai che stanno perdendo il posto di lavoro, con i giovani precari e disoccupati, siamo un’ unica e numerosa classe che ha interessi opposti ai grandi industriali italiani che per vent’anni hanno votato Berlusconi e ora sostengono Renzi.
Vorremmo informarLa, che questi, oltre ad avere svariati giornali e associazioni di categoria (Confindustria si dovrebbe chiamare), negli ultimi anni, non hanno fatto una festa, c’hanno proprio fatto le feste. Come dice Gallino, sociologo italiano che insegna a Torino, è la lotta di classe dall’alto.

Spazio Sociale La Boje!

p.s. Alla fine dell’articolo si contraddice da manuale, dice che dovremmo chiedere agli imprenditori le soluzioni per contrastare l’aggressiva globalizzazione imprenditoriale che ci sta impoverendo. Allora sta dalla nostra parte? Dalla parte di una globalizzazione dei diritti dei lavoratori e non delle leggi di mercato?