We don’t Sow – non seminiamo, devastiamo

Nella famosa serie tv “Il trono di spade” uno dei regni che compete per il potere del continente occidentale è situato sulle aride isole di ferro, il loro motto è “noi non seminiamo” poiché le caratteristiche del territorio li hanno portati a concentrarsi sull’estrazione di valore dai saccheggi delle città sulla costa piuttosto che sulla produzione del medesimo attraverso la coltivazione.
Sodano, Burchiellaro e Palazzi(*) rispondono alla stesse logiche devastatrici, pur essendo stati a governo di una delle aree agricole più fertili d’Italia. Loro non seminano, devastano!

Il mandato di Sodano al comune di Mantova si avvia pericolosamente alla conclusione, nonostante questa avrebbe potuto essere anticipata da una delegittimazione popolare dalla piazza che lo costringesse alle dimissioni.
La scorsa settimana il sindaco che faceva i viaggi a Roma per i costruttori amici delle ‘ndrine ha dato il suo contributo definitivo al peggioramento della città, nel solco delle giunte precedenti.
É stata concessa l’area dietro a Boccabusa (dietro al polo di supermercati della Favorita) per la costruzione di un nuovo outlet e un nuovo McDonald’s, in una città che in 20 anni ha visto passare le relazioni economiche e sociali dal suo centro storico a delle cementate adibite al consumo.
In secondo luogo è stato approvato il regolamento di polizia municipale contro i bivacchi e l’accattonaggio in una città in cui non si hanno le strutture minime per l’emergenza freddo (il dormitorio arriva al massimo a 40 posti quando ne servirebbero almeno un’ottantina, non molti).
Se Mantova non si mobilità è anche dovuto all’assottigliamento delle reti sociali in un’estensione senza progetto dell’area urbana e dai regolamenti farlocchi che ne limitano la vivacità a quanto ammesso per un centro-vetrina senza mantovani.

Per quanto si stiano presentando come alternative politiche, i nostri tre devastatori rappresentano pienamente le ipotesi economiche neoliberiste, pur con diverse sfumature.
Non per niente i loro partiti hanno contribuito alla realizzazione di Expo2015, esposizione universale sull’alimentazione dominata dalle multinazionali del cibo e dell’agro-business che speculano sulla terra e sulla fame. La filosofia di Expo2015 è simile a quella dei nostri amministratori locali, nemmeno i soggetti che stanno ad Expo seminano (compresa la vergognosa partecipazione del marchio slow food) producendo valore dalla coltivazione, ma devastano (pensiamo all’imposizione di monocolture più profittevoli) estraendone dai territori.
Che sia il regalo di fine mandato di Sodano o Burchiellaro agli “amici” piuttosto che il risanamento guidato da Stefano Boeri di una zona abbandonata, le logiche sono le stesse ovvero quella di estrarre valore e non di produrlo.
Con la crisi partita nella prima metà degli anni ’70 il sistema capitalista si è rinnovato in occidente rimescolando le carte delle regole economiche mondiali. Se prima si produceva valore attraverso la produzione di fabbrica o la coltivazione di un campo o la costruzione di una scuola, si è passati ad un’estrazione (non solo finanziaria) del valore. Oggi ad esempio si estrae valore delocalizzando una fabbrica o fondendo la società con altre, oppure imponendo un prezzo enorme ad una medicina indispensabile, oppure giocando sul costo dei terreni agricoli e il mercato immobiliare.
Il processo estrattivo, oltre che di un mercato finanziario in cui scommetere, ha bisogno allo stesso tempo di convincere la società e farla appassionare. In questo modo ci viene presentato Expo2015 come un’incredibile occasione di conoscenza, l’apertura di un supermercato come uno stimolo per la crescita e il varo di un outlet come l’aumento della libertà (DI CONSUMO).

Quello che si è voluto nascondere attraverso la disponibilità di credito facile è stato il passaggio della totalità delle merci (una casa, il riscaldamento, l’acqua o i libri di scuola) dall’essere definite sempre di più dal loro valore di scambio e sempre meno dal valore d’uso.
Il capitalismo statalista del dopoguerra non era certo buono, ma per una serie di fattori (prima gli alti tassi di profitto e poi la pressione del movimento operaio) era interessato a costruire case che servissero come case. Oggi per esempio può avere senso costruire un quartiere per tenerlo vuoto, guadagnando sul cambio di destinazione del terreno o sul maggiore controllo delle immobiliari nel mercato degli affitti.

Una parte sempre più grande della popolazione però rimane esclusa da questi movimenti di valore, che sia la possibilità di permettersi un affitto nel nuovo quartierino di lusso di Boeri (nell’ex zona popolare) o ai ritmi di consumo sollecitati da outlet e ipermercati. Nel mentre questi ultimi contribuiranno ad eliminare le piccole attività dei paesi limitrofi a Mantova e dei quartieri di questa, cancellando non solo il saper artigiano, ma anche dei nodi sociali (oltre alla loro funzione commerciale) nelle periferie del territorio.
Per tenere queste devastazioni sotto la cappa della pace sociale seguiranno nuove ordinanze comunali eseguite dalla polizia del sindaco (la ex municipale), armata da Burchiellaro, rafforzata da Brioni con la sottoscrizione della carta di Parma (http://gazzettadimantova.gelocal.it/mantova/cronaca/2008/06/09/news/nasce-la-carta-di-parma-sulla-sicurezza-1.70370) e utilizzata in modo classista e razzista (vedi il blitz in strada Trincerone contro le case dei Sinti) da Sodano.

(*) per ora è stato solo consigliere comunale di maggioranza nella giunta Burichellaro e assessore di maggioranza in quella Brioni, ma ha già dato il suo contributo in questa direzione con la costruzione del quartiere Borgonovo.