La cattiva scuola di Renzi-Giannini

Per i precari della scuola l’estate è sempre stato una stagione piena di contraddizioni e dubbi. Il lungo periodo di inattività farcito dall’assegno di disoccupazione (che arriva spesso tra ottobre e dicembre) non è mai stato libero da preoccupazioni che proiettano la mente all’inizio del futuro anno scolastico: avrò un contratto favorevole? Riuscirò a lavorare tutto l’anno? Andrò in una scuola favorevole alle mie aspettative?

La domanda più assillante rimane, comunque,la stessa di sempre: sarà la volta buona per andare di ruolo?

L’estate 2015, tuttavia, sarà ricordata dal variegato mondo del precariato scolastico in modo diverso da tutti gli altri, è infatti l’estate della “buona” scuola! I mesi precedenti si sono chiusi con le mobilitazioni sindacali che sono riuscite a manifestare un primo segnale di opposizione all’Italia renziana che sembrava fondarsi su un granitico consenso. L’altro risultato importante delle mobilitazioni di fine primavera è stato l’aver ricompattato il fronte dei docenti in passato diviso, schematizzando un po’ la realtà, tra i docenti di ruolo ed i precari. Sarebbe più che logico aspettarsi un autunno caldo sul fronte scolastico, visto che coinciderà con l’introduzione dei provvedimenti osteggiati e, bisogna riconoscerlo, realizzati dal duo Renzi-Giannini.

Saltiamo, dunque, tutte e tutti sulla grande barca contestatrice che vede finalmente uniti sindacati, precari, famiglie e studenti?

A ben guardare, la situazione è più sfaccettata e rischiosa.

Le prime contraddizioni nel fronte dei docenti si stanno già manifestando durante le iniziali convocazioni di Agosto per il personale della scuola.

Le problematiche sono emerse per i docenti delle scuole dell’infanzia e delle primarie. Queste nomine sono state effettuate al di fuori del piano di assunzioni della riforma (che partiranno dal 15 Agosto) e si sono rivolte a chi era già inserito nelle graduatorie permanenti, ovvero quelle dove si trovano i candidati in possesso di abilitazione titolo che non coincide con la laurea o il diploma ai quali è successivo. Una sentenza del consiglio di Stato ha accolto un ricorso dell’ANIEF (un’associazione pseudo-sindacale attiva nel promuovere qualsiasi forma di ricorso e petizioni, anche se in contraddizione tra di loro) che equiparava i titoli di alcuni docenti in possesso del diploma abilitante come abilitazione vera e propria e inserendoli nelle GAE. Questa sentenza ha determinato che alcuni docenti si sono visti scavalcare da altri che possederebbero un titolo in meno, non molti per la verità in quanto la sentenza aveva in sé parametri stabiliti (età, anni di servizio ecc.). Sono scattate immediatamente le proteste che hanno visto gli insegnati e le insegnanti coinvolte andare a prendere la tanto agognata nomina a tempo determinato in abiti neri da lutto.

Qualcosa, a ben vedere, non torna. Per quale motivo una persona che sta per essere assunta a tempo indeterminato, oggi come oggi, lo fa vestendosi a lutto? Semmai avrebbe dovuto protestare chi quel posto non lo ha avuto per “colpa” di altri che hanno vinto un ricorso. Naturalmente è arrivata puntuale la solidarietà dei vari sindacati che, mesi prima, avevano anche favorito il ricorso tanto vituperato.

I veri nodi, però, sono in arrivo a partire da metà Agosto.

Gli insegnati di scuola secondaria,medie e superiori, inseriti nelle GAE e/o i vincitori dell’ultimo concorso si sono divisi in chi ha avuto la fortuna di essere assunto prima del 15 Agosto(circa 27mila) con i contingenti e le norme in vigore precedentemente alla buona scuola e coloro che dovranno affrontare il calvario emotivo delle fasi A,B,C,D; ovvero step di accesso alle assunzioni che dividono e classificano il già parcellizzato mondo del precariato scolastico.

È a partire da questa fase che emergono le novità della riforma. Agli insegnanti abilitati che non sono stati immessi in ruolo nelle fasi precedenti (circa 80mila) è stata fornita la possibilità di inserirsi in una grande graduatoria nazionale in cui ogni candidato deve esprimere preferenze sulle province in cui desidera lavorare. Il sistema informatico predisposto dal ministero incrocia i dati e indica la cattedra di titolarità assegnata. Fin qui sembrerebbe tutto liscio, anzi, molto positivo; ma è in agguato una clausola ereditata dai passati sistemi di reclutamento: se rinunci alla nomina vieni depennato dalle graduatorie. Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.

Fino ad oggi gli insegnati abilitati erano iscritti in graduatorie provinciali e questo sistema si basava sul presupposto che un lavoratore avesse un interesse a vivere in una determinata provincia. Come è noto, ciò ha determinato spostamenti considerevoli da zone a forte calo demografico (specie nel Sud Italia interno) a zone a buoni livelli di crescita demografica (sopratutto le aree industriali del Nord Italia interessate prima di altre a processi di immigrazione interna o extra-nazionale). Questi fattori hanno portato a dislivelli considerevoli di presenza nelle GAE e tempi di permanenza diversi. Facendo degli esempi, i tempi di immissione in ruolo in province della pianura padana si attestavano, in media 5-10 anni; al sud i tempi si allungavano di ulteriori 10 anni circa. Il risultato è che, ad oggi, i posti disponibili sono quasi esclusivamente in nord Italia e, con la graduatoria nazionale ci sarà un esodo di massa di persone comprese tra i 30 e i 40 anni o più dal Sud al Nord. Circa il 25% dei candidabili alla graduatoria nazionale non ha presentato domanda di inserimento, valutando che il trasferimento sarebbe stato troppo problematico (come conciliare il lavoro di un membro della famiglia con la salvaguardia dell’integrità della stessa?). Per questi insegnanti rimane la possibilità di poter fare delle supplenze annuali o a tempo breve; in pratica una retrocessione da aspirante docente di ruolo a supplente precario a vita, o quasi. Il messaggio di fondo del ministero e del governo sembra essere questo: “caro/a precario/a sei tu disposto a spostarti dove il cervellone elettronico ti assegnerà la cattedra? Bene puoi lavorare…..non sei disposto perché hai famiglia, figli piccoli da crescere, genitori anziani da accudire, affetti emotivi a cui non vuoi rinunciare? Bhè, ci pensavi prima e ora non rompere le scatole con queste sciocchezze sentimentali e non economiche!

Anche in questo caso si è alzata la protesta, formale, dei sindacati. Peccato che la graduatoria nazionale sia stato un cavallo di battaglia di tutti i sindacati che la indicavano, ai tempi della riforma-tagliola Gelmini come una soluzione al precariato. La stessa ministra Giannini non ha nascosto la propria irritazione per le critiche mosse dalle organizzazioni dei lavoratori dopo che non aveva fatto altro, di fatto, che applicare quanto esse suggerivano da anni.

Sia chiaro fin da subito che non esiste una formula magica che elimini i problemi del reclutamento del personale docente in maniera indolore e positiva per tutti e tutte; specie se non si interviene su nodi reali capaci di creare nuovi posti di lavoro e sopratutto maggiore qualità nel sistema scolastico per gli studenti. Ciò che, invece,sembra stia avvenendo è una sovrapposizione a tratti caotica di norme, riforme, provvedimenti giudiziari che destabilizzano l’immagine che il lavoratore ha di se stesso all’interno del gruppo e che faccia interiorizzare il concetto che il lavoro non sia un diritto e neanche una conquista ma piuttosto una concessione.

Si può tranquillamente sostenere che sia proprio questo il nodo reale della questione, sul quale si ritornerà in seguito. Scuole ora, sviscerare il problema delle successive fasi di reclutamento, denominate fasi C e D.

La riforma Giannini prevede ulteriori provvedimenti di assunzione che rappresentano, forse, il nodo più spinoso seppur e si collega con i cosiddetti “poteri della dirigenza”.

Nell’ottica di realizzare la piena autonomia scolastica, introdotta fin dagli anni ’90 con le riforme Berliguer ma poi, nel bene e nel male, ampiamente disattesa; ogni istituto scolastico può destinare parte del proprio bacino di lavoratori a progetti speciali. Questi sono orientati da griglie ministeriali e si pongono l’obiettivo di facilitare il rapporto tra scuola e territorio. Tali progetti erano, in precedenza, finanziati con i fondi di istituto mentre ora vengono direttamente traslati dal monte orario settimanale di lavoro in classe (18 h.); in pratica se un insegnante viene destinato a svolgere 9 ore settimanali al progetto x, andrà in aula nelle 9 ore restanti, svolgendo sempre le sue 18 ore da contratto ma non realizzandole esclusivamente in aula. Sono le dirigenze ed i consigli di Istituto a stabilire quali progetti mettere in piedi e il personale da destinare agli stessi in base al curriculum personale di ogni insegnate o personale tecnico-amministrativo. A questo punto si liberano ore di insegnamento che dovranno essere coperte da nuove assunzioni dette “di autonomia”. È la fase C di assunzioni che coinvolge chi non ha avuto l’assunzione in ruolo nelle tre fasi precedenti ed è inserito nelle liste nazionali; il personale abilitato che non aveva fatto domanda di inserimento nelle suddette liste nazionali ed è rimasto nelle Graduatorie Ad Esaurimento provinciali; gli abilitati non inseriti nelle GAE (in genere gli abilitati TFA e chi è oggi inserito nella 2° fascia provinciale). A conti fatti un bel po’ di gente.

Ma quali sono, realisticamente, i numeri di queste assunzioni? Si presume che saranno molto esigui nei primi due anni di introduzione della riforma (tempo che si prevede coincida con la fine delle fasi precedenti) e che i primi effetti reali si vedranno nell’A.S. 2017/2018, mentre per l’A.S. In corso bisognerà attendere Novembre

Il 14 Ottobre si sono completate le operazioni di assunzione che hanno coinvolto il normale avvio delle attività scolastiche, con le nomine dei primi supplenti nominati da ogni graduatoria possibile.

Si può, quindi, cercare di trarre un bilancio per pensare e prevedere delle prassi politiche.

Sommando le varie fasi di assunzione (a tempo indeterminato o precarie) con quelle che avverranno con tutele crescenti (fase C) si capisce come la situazione lavorativa degli insegnanti prima precari, sia migliorata, o almeno non peggiorata dal punto di vista contrattuale. La stessa preoccupazione per le nomine dalla graduatoria nazionale si è, di fatto, rivelata poco fondata se guardiamo i numeri di chi non ne ha usufruito. Tale miglioramento non è dovuto esclusivamente ai piani di assunzione di Renzi, ma anche e sopratutto per via del blocco delle abilitazioni che conducono all’immissione in ruolo iniziato nel 2010 con la fine delle SISS (scuole di specializzazioni post laurea abilitanti all’insegnamento della durata di anni e parificate ad un dottorato).

A completare il quadro vi è stata l’assegnazione di 500 € in busta paga per finanziare le attività di aggiornamento individuale preventivamente elargiti sui conto corrente degli insegnanti nominati fino al 14 Ottobre. Rimane inesplicato le modalità con cui ogni insegnante sarà tenuto a fruirne.

La Debolezza delle mobilitazioni sindacali

Le mobilitazioni del corpo docenti avvenute tra fine primavera ed estate, sembrano aver perso spinta ed energia nell’autunno. Se in Maggio, come si accennava precedentemente, gli insegnanti (mobilitati sopratutto dalla FLC-CGIL) hanno dato prova di notevole combattività, la categoria stessa sembra, ultimamente, essere scomparsa dal dibattito pubblico. L’unica manifestazione prevista nei mesi di Settembre-Ottobre ha manifestato più limiti che potenzialità.

Da un lato si pone la FLC-CGIL in particolare (e il resto dei confederati in generale) che vive la contraddizione di imbastire una lotta contro il governo del PD, a cui è legato ancor più di altri settori della CGIL; d’altro canto i sindacati di base non riescono più a mobilitare e gestire i propri iscritti.

Ad una lettura più intima delle mobilitazioni recenti, senza dimenticare quelle più lontane intraprese dal 2008, si potrebbe affermare che si è arrivati ad una fase conclusiva, poiché le tematiche e le piattaforme portate avanti hanno, in parte trovato risposta dalla riforma Renzo – Giannini. Sia chiaro, le richieste hanno sempre avuto un carattere più rivendicativo che vertenziale, accomunando un poco tutto nello slogan “Immissione in ruolo di tutti i precari”. A ben vedere, però, essendo quello salariale l’unico binario sul quale ha viaggiato il treno della contestazione; esso si perde nel vuoto man mano che la situazione salariale stessa migliora o, sarebbe meglio dire, non peggiora alla stessa velocità che colpisce il resto del lavoro dipendente, pubblico o privato che sia.

La questione salariale ha portato, ad avviso dello scrivente, più problemi che alto, in quanto è un ostacolo ad un allargamento della mobilitazione verso il protagonismo degli studenti nonché al resto della società. Perché mai gli studenti dovrebbero sostenere la lotta salariale di una categoria che non percepiscono, a volte giustamente, come vicina alle proprie rivendicazioni? E perché mai una famiglia, magari in difficoltà economica, dovrebbe sostenere una lotta salariale di un lavoratore che non sempre è più povero di tanti altri, pur intellettualmente preparati?

Quel che è mancata è stata un’idea progettuale di rinnovamento radicale dell’istituzione scolastica. Questo grande assente, pur se da molti rincorso, non è stato mai al centro delle discussioni. Sta probabilmente qui la grande differenza con le mobilitazioni del passato (che non sono partite dagli insegnanti) e, oggi, si paga totalmente il conto di questa situazione.

Di fatto il modello si scuola neo-liberista, che Renzi media dal modello anglosassone del suo idolo Tony Blair non ha trovato nessun reale ostacolo al suo affermarsi. La scuola che oggi si disegna è una scuola prettamente classista, (non priva di elementi razzisti e xenofobi) in cui viene presentato alle generazioni in formazione un modello basato sul concetto di lavoro=concessione. Come spiegare, infatti l’isterico riferimento agli stage formativi in azienda che coinvolgono anche per 600 h. Gli studenti e le studentesse? (200 facoltative per i licei, 400 per i tecnici, 400+200 facoltative per i professionali).

Quale altro motivo se non l’appropriazione della ricchezza prodotta dal lavoro è alla base di una pianificazione in cui i giovani sono portati ad interiorizzare l’obbligatorietà di essere solo ed esclusivamente lavoratori dipendenti?

La buona scuola sta marciando a ritmi veloci, ma ancora più rapido è il tentavo del “partito della nazione” di mutare il carattere ed il volto della società, a partire proprio dalla scuola, il nuovo e più pericoloso laboratorio del dogmatismo neo-liberista.