Il PD a Mantova

Prove tecniche di razzismo
Divieto di sosta razzista
Mantova ospita da anni una comunità sinta. I sinti sono un gruppo
proveniente dall’India e giunti in Italia da Nord-Est nel XVI secolo.
Da allora vivono stabilmente nella penisola, e culturalmente la loro
attività principale è stata la gestione degli spettacoli itineranti (le
famose giostre), da cui l’attribuzione (piuttosto imprecisa) di un
elemento di “nomadismo” alla loro cultura. Quando negli anni ’70 la
crisi del petrolio e l’esplosione dell’industria dello spettacolo hanno
stroncato la loro fonte di reddito principale, hanno ripiegato su
attività quali la raccolta del ferro, riducendo gli spostamenti a
ricongiungimenti familiari di nuclei imparentanti che vivono in città
diverse. Sono cittadini italiani regolarmente registrati; nonostante
ciò da anni subiscono limitazioni dell’articolo 16 della costituzione
italiana, che recita “Ogni cittadino può circolare e soggiornare
liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale”. Vengono
costretti a vivere in determinate aree (i famigerati campi nomadi, che
in europa esistono solo in italia), a contatto forzato con altre
persone a cui -spesso- sono completamente estranee e con le quali
invece sono supposte formare un’unico gruppo. Per di più, vengono
spesso scambiati per Rom, un’altra popolazione con la quale hanno
remoti antenati comuni, ma dai quali sono separati culturalmente da
molti secoli.

Divieto di sosta razzista
Mantova ospita da anni una comunità sinta. I sinti sono un gruppo
proveniente dall’India e giunti in Italia da Nord-Est nel XVI secolo.
Da allora vivono stabilmente nella penisola, e culturalmente la loro
attività principale è stata la gestione degli spettacoli itineranti (le
famose giostre), da cui l’attribuzione (piuttosto imprecisa) di un
elemento di “nomadismo” alla loro cultura. Quando negli anni ’70 la
crisi del petrolio e l’esplosione dell’industria dello spettacolo hanno
stroncato la loro fonte di reddito principale, hanno ripiegato su
attività quali la raccolta del ferro, riducendo gli spostamenti a
ricongiungimenti familiari di nuclei imparentanti che vivono in città
diverse. Sono cittadini italiani regolarmente registrati; nonostante
ciò da anni subiscono limitazioni dell’articolo 16 della costituzione
italiana, che recita “Ogni cittadino può circolare e soggiornare
liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale”. Vengono
costretti a vivere in determinate aree (i famigerati campi nomadi, che
in europa esistono solo in italia), a contatto forzato con altre
persone a cui -spesso- sono completamente estranee e con le quali
invece sono supposte formare un’unico gruppo. Per di più, vengono
spesso scambiati per Rom, un’altra popolazione con la quale hanno
remoti antenati comuni, ma dai quali sono separati culturalmente da
molti secoli.

I sinti di Mantova sono Sinti Lombardi (perché anche la cultura sinta
si è differenziata in regionalismi e localismi, e la loro lingua, il
Romanì, si è spesso mescolata coi dialetti), e rappresentano una delle
comunità sinte meglio integrate d’italia. Nel campo nomadi in viale
Learco Guerra 23 vivono circa 50 bambini e 50 adulti: i bambini vanno a
scuola (tutti almeno fino alla terza media), gli adulti lavorano (la
percentuale di occupazione è dell’80%, non male considerato che pochi
assumerebbero un sinto per badare ai loro bambini, per fare il commesso
in un esercizio commerciale, per non parlare poi di incarichi di
fiducia). C’è perfino, primo caso in italia, un sinto stipendiato dal
comune che porta i bambini a scuola con uno scuolabus. Ci sono anche
famiglie che con dei risparmi hanno comprato un pezzo di terra sul
Trincerone e hanno lasciato il campo. Ora vivono nella loro
“microarea”, se la gestiscono e ne sono responsabili. Il comune sa chi
abita dove, in quale campina (roulotte). I sinti dal comune ottengono
qualche facilitazione e poco più, più o meno di quanto ottengano
analoghe famiglie di classi povere.

Con la differenza che la cultura sinta non è riconosciuta dallo stato
italiano. Al contrario dei trentini che parlano tedesco, dei sardi, e
di tutte le lingue e culture che abitano il nostro territorio, per lo
stato un bambino sinto che fino ai 6 anni ha parlato una lingua di
diretta derivazione sanscrita, non necessita particolare attenzione
rispetto ad un bambino che parla già bene l’italiano. Il non
riconoscimento della cultura Sinta (e tra parentesi, anche quella Rom)
come cultura minoritaria, oltre che una negazione della realtà, va
anche contro fior fiore di direttive e raccomandazioni europee.
L’Unione Europea ha già condannato più volte l’italia per il
trattamento incivile che riserva ai Sinti ed ai Rom. E viola anche
l’articolo 6 della costituzione, “La Repubblica tutela con apposite
norme le minoranze linguistiche”.

Ed è qui il vero paradosso delle istituzioni nei confronti dei Sinti.
Da un lato li considerano cittadini italiani con gli stessi doveri di
tutti gli altri e non solo senza che gli venga riconosciuto il diritto
di preservare la loro cultura, ma anche che gli sia garantito
l’accesso alla nostra. Dall’altro li considerano clandestini, migranti,
criminali, li segregano, gli impediscono l’accesso all’istruzione, al
lavoro, in sostanza all’autonomia e in definitiva alla piena
partecipazione della vita politica e sociale. Non sono altro che un
problema da far sparire, eliminare dalla vista. Che vadano da un’altra
parte.

E non ci sorprende che siano proprio loro il capro espiatorio di un
sistema di governo che vive solo della sua stessa celebrazione. Poveri,
ultimi, disadattati, magari propensi all’illegalità come metodo per
uscire dalla cronica indigenza. Oggetto spettacolare, vagamente
esotico, e soprattutto sufficientemente privo di contatti col potere
per poter essere isolati, accerchiati e additati. E mentre tutta la
maggioranza di governo si organizza con l’obbiettivo di fare guerra ai
poveri, i dirigenti del PD si lanciano in una campagna che definire
fascista è dire poco. Con la differenza che nell’era dello spettacolo,
si può dire apertamente che il problema non è la sicurezza ma la
“percezione della sicurezza”. Il che vuol dire che non importa se hai
rubato o meno, importa se la gente pensa di te che rubi. E la gente
pensa di te che rubi perché l’ha sentito in televisione. Come ogni
politica neoliberista la tolleranza zero crea il problema che si
propone di combattere, per dimostrare la propria insuperabile
necessità. Votateci o sarà la fine.

E da brava città di campagna Mantova ha voluto emulare i suoi cugini
più grandi, Milano, Roma, Pavia, Livorno. Che non si dica che il PD a
Mantova non lavori per la sicurezza, siamo pur sempre la capitale della
Padania. E quindi, per consegnare un avviso di garanzia ad 8 persone di
cui 6 già agli arresti domiciliari, si è deciso di procedere nel
seguente modo. Alle ore 4:00 del mattino del 12 Giugno un plotone di
più di un centinaio carabinieri, con cani ed il supporto di un
elicottero, si è presentato al campo nomadi e nei terreni privati in
via Trincerone. Hanno fatto irruzione su ogni singola roulotte
nonostante fossero privi di qualunque mandato al riguardo. Hanno
minacciato gli abitanti, ordinato di non scendere dalle campine neanche
per andare in bagno. Tutto ciò in violazione del principio
costituzionale che la responsabilità penale è personale. L’unica colpa
di bambini, anziani, donne e uomini che quella notte hanno avuto i loro
diritti (e la loro dignità) calpestata è stata quella di vivere allo
stesso numero civico di indagati per furti (secondo gli inquirenti,
circa una ventina dal 2000 ad oggi). Tra l’altro, scelta non autonoma e
della quale non possono essere chiamati a rispondere, costretti come
sono a vivere lì da un sistema che li esclude, quando non li ammazza.

E non c’è limite al peggio. Nel campo sono girate voci di agenti in
borghese che fingendosi volontari dell’Opera Nomadi salivano sulle
roulottes. Distruggendo buona parte dei rapporti di fiducia tra le
famiglie sinte e l’organizzazione. Le lamentele di uno degli abitanti
del campo nomadi, che semplicemente ricordava di essere stato svegliato
nel pieno della notte, minacciato e maltrattato, nonostante sia
estraneo ai fatti, nonostante non fosse presente un mandato per la sua
abitazione, sono state ricevute dalla Gazzetta di Mantova a pesci in
faccia. I redattori si sono permessi di decretare che non dovrebbe
lamentarsi così tanto. Che barzelletta, un Sinto che parla dei suoi
diritti. Quasi quasi ci facciamo la Bagolona di domani.

Due degli 8 non erano reperibili al campo. Uno di loro è stato
arrestato qualche settimana dopo. I carabinieri, che devono aver
ingigantito non poco il loro ego dopo una tale azione di forza (ma che
fossero così tanti perché avevano paura di prenderle è un dubbio che
non ci lascerà mai), hanno cercato di estorcere informazioni su dove si
trovassero i rimanenti due “complici”. I 6 sono stati messi agli
arresti domiciliari, ma contrariamente all’uso, non solo non potevano
lasciare il loro numero civico di residenza: non potevano uscire dalla
roulotte. Immaginatevi voi rinchiusi d’estate in una roulotte.
Considerate che i servizi sanitari sono esterni alle roulotte. Così,
due giorni dopo due dei sei agli arresti domiciliari sono stati
arrestati per evasione. Erano andati in bagno. Ci chiediamo quale sia
il principio per il quale il campo nomadi conti come un’unica unità
abitativa in caso di perquisizioni, mentre contino individualmente le
singole roulottes per gli arresti domiciliari. E chi chiediamo quale
stato che ama definirsi democratico obblighi due suoi cittadini a
restare chiusi in uno spazio di pochi metri quadri senza servizi
igienici.

Non è schierando enormi forze di polizia che si risolverà il problema
dell’emarginazione, dell’esclusione e della povertà delle popolazioni
Sinte e Rom in italia. Al contrario, supportiamo il progetto di Opera
Nomadi della costruzione di microaree sparse per la provincia, nonché
l’abolizione di leggi ed ordinanze razziste, ed il riconoscimento della
cultura Sinta come cultura minoritaria. Noi ci impegneremo in una
battaglia culturale e politica, perché eventi simili non possano più ripetersi in
nessun luogo. Perché siamo tutti Sinti.
di lucha