Dove c’è Balilla c’è casa

la seconda “Giovinezza”

A oltre sessant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale la destra neofascista in Italia sembra vivere una seconda giovinezza, caratterizzata dalla capacità di inserirsi nelle contraddizioni sociali di quei settori popolari una volta audience più o meno esclusiva della sinistra più o meno rivoluzionaria. Assistiamo a nuova capacità di aggregazione, di fare senso comune, di esercitare egemonia “culturale” in particolare sui giovani precari delle periferie. La loro semplice ricetta identitaria fa leva come sempre sui concetti di dio, patria e famiglia, declinati però con una certa capacità di mettere in campo linguaggi adeguati alla modernità, apparendo perciò “nuovi” a chi non ha memoria storica.

A oltre sessant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale la destra neofascista in Italia sembra vivere una seconda giovinezza, caratterizzata dalla capacità di inserirsi nelle contraddizioni sociali di quei settori popolari una volta audience più o meno esclusiva della sinistra più o meno rivoluzionaria. Assistiamo a nuova capacità di aggregazione, di fare senso comune, di esercitare egemonia “culturale” in particolare sui giovani precari delle periferie. La loro semplice ricetta identitaria fa leva come sempre sui concetti di dio, patria e famiglia, declinati però con una certa capacità di mettere in campo linguaggi adeguati alla modernità, apparendo perciò “nuovi” a chi non ha memoria storica.
Una destra radicale che investe su un immaginario “contro”, con forti tinte di rivendicazione sociale e di opposizione ai detentori del potere. E’ una destra “sociale che ha in un presunto “fascismo rivoluzionario” il suo background culturale. Ci troviamo oggi di fronte ad un fenomeno articolato, pericoloso, in grado di esprimere intervento “di massa”. Il disagio sociale, il clima di guerra e l’incapacità delle forze di sinistra, oggi appiattite su posizioni governative, di fornire risposte adeguate, sono da sempre gli ingredienti che storicamente hanno favorito l’ascesa della destra populista e demagogica; a questo uniamo il revisionismo messo in atto negli ultimi anni dalle forze di destra grazie anche agli arretramenti delle forze antifasciste: più precisamente, non possiamo dimenticare episodi come l’equiparazione tra partigiani e repubblichini lanciata anni fa da Violante, le “democratiche” strette di mano tra Fini e Bertinotti di appena un anno fa o, peggio ancora, la ricerca e vidimazione di firme per le liste elettorali della Mussolini, anche a Mantova, da parte di forze “antifasciste”, per indebolire il sempiterno spauracchio Berlusconi: cedimenti questi che rischiano di legittimare posizioni politiche che hanno dato copertura e ridato spazi a chi ha contribuito a ripristinare un clima di tensione e violenza nelle nostre strade.
Naturalmente noi sappiamo che il ruolo storico dei fascisti sostanzialmente non è mutato: sono il braccio armato del potere capitalista contro i movimenti sociali che al capitalismo si oppongono. E purtroppo abbiamo prova di questo praticamente tutti i giorni: la pratica delle aggressioni sistematiche insanguina le nostre città e ci colpisce fin negli affetti più cari. Sono proprio i compagni e le compagne del movimento, per il loro essere in prima fila nei territori, a doversi confrontare con la violenza neofascista. A nulla quindi vale un antifascismo vittimista, vecchio e lògoro che viene esibito il 25 aprile e che si indigna per una scritta sui muri o per una festa nostalgica invocando pronta repressione: l’intervento antifascista si presenta quindi, come azione orientata all’aggregazione sociale: il primo e più fondamentale antifascismo non è quello “culturale” e neanche quello militante, ma l’intervento sociale nella città.
L’antifascismo si chiama perciò anzitutto autorganizzazione studentesca nelle scuole superiori e nelle università, vertenze concrete sui posti di lavoro e radicamento nei quartieri, un attacco politico generale alle condizioni di vita imposte dal capitalismo, sia che sia gestito da Berlusconi sia da Prodi.
C’è la necessità oggettiva di acquisire una nuova consapevolezza che integri la memoria storica della lotta partigiana, con il bagaglio di pratiche e di saperi dei movimenti antifascisti dal dopoguerra ad oggi, e che sappia guardare anche al futuro, interrogandosi in quali direzioni stiano andando le tendenze totalitarie del potere, pensando alla guerra globale permanente, alla precarizzazione del mondo del lavoro e della nostra esistenza, la quotidiana ingerenza vaticana nelle nostre vite e alla barbarie di una Europa fortezza che fa delle deportazioni dei migranti e dei Cpt il proprio biglietto da visita; in tutto questo, il neofascismo che abbiamo il dovere di contrastare, nostalgico o meno, in festa o in marcia, non è che la punta dell’iceberg.
di MantovAntagonista