La rivoluzione Bolivariana continua

l Venezuela è un paese con istituzioni democratiche e un sistema elettorale affidabile. Questa è una delle principali conclusioni da trarre dal referendum di domenica scorsa, che confuta i principali argomenti del governo di George W. Bush, dell’opposizione interna e dei governi alleati di Washington contro Hugo Chavez. Da questo punto di vista il processo di cambiamento in corso in Venezuela dal 1999, quando Chavez ha assunto la presidenza, esce rafforzato.
di Raul Zibechi ALAI – Montevideo, 4/12/2007

I

In secondo luogo, Chavez ha riconosciuto con dignità e con trasparenza la sconfitta della sua proposta di riforma costituzionale, malgrado lo scarto limitato nei risultati. Non si è arrampicato sugli specchi come hanno fatto tanti altri presidenti in questo continente quando si sono trovati davanti a una sconfitta, e non si è nemmeno trincerato dietro la evidente ingerenza degli Stati Uniti.

Questo dimostra che Chavez possiede un talento democratica, il che non è il caso di gran parte dei suoi critici, tra cui lo stesso Bush e il suo vicino Alvaro Uribe. Risulta curioso vedere come coloro che cercano da sempre di rovesciare il processo bolivariano, riconoscono adesso la trasparenza delle urne mentre l’hanno negata nelle dieci elezioni anteriori nelle quali ha vinto il chavismo.

Uno su quattro venezuelani che aveva votato per Chavez in dicembre 2006, non ha votato per la riforma della Costituzione domenica scorsa. Nelle elezioni presidenziali dell’anno passato Chavez ha ottenuto 7.300.000 voti che contrastano con i 4.380.000 che ha ottenuto il Sì in questo referendum sulla riforma della Costituzione.

L’opposizione, invece, che nel mese di dicembre scorso aveva ottenuto 4.292.000 di voti per il suo candidato Manuel Rosales, questa volta può vantare un risultato di 4.500.000 suffragi contro la riforma. Un piccolo e poco significativo aumento per l’opposizione e una perdita di tre milioni di voti per il chavismo . Un voto mancato che si è trasformato quasi integralmente in astensione, salita in fatti dal 25 % a dicembre al 44 % in quest’occasione.

E’ chiaro che sia Bush che una parte dell’opposizione interna hanno portato avanti una ripugnante campagna contro la riforma ma è altrettanto certo che lo avevano fatto anche in altre occasioni. Aggiungiamo che partiti come Podemos (socialdemocratico), alcuni noti intellettuali e il ministro degli Interni, il generale Raul Isaias Baduel si sono opposti alla riforma. Però tutto questo sembra insufficiente per spiegare niente meno che tre milioni di astensioni.

Secondo i dati forniti dagli amici venezuelani, l’astensione è stata importante nei quartieri popolari sostenitori di Chavez e del processo di trasformazione. Ciò indica che è dentro le forze sociali che stanno appoggiando il cambio che bisogna cercare le chiavi della spiegazione del risultato. Non si tratta quindi né di un trionfo dell’opposizione o dell’imperialismo, né di una sconfitta del chavismo popolare di base.

Chavez stesso ha dato alcune piste di riflessione su ciò che è successo dicendo che: “alcuni di noi non hanno giocato sono rimasti fermi e hanno lasciato passare la palla.”

I risultati gettano luce su alcuni fatti che meritano di essere discussi. Il primo gira intorno alla questione del socialismo, un dibattito aperto, impossibile da chiudere dopo l’esperienza sovietica e cinese. Niente ci consente di pensare che i tre milioni di persone che hanno votato per Chavez un anno fa, hanno voltato le spalle adesso al processo di cambiamento. Però non è lo stesso scegliere tra la destra e Chavez, e farlo a favore di un modello che nessuno ha avuto tempo op volontà di sottoporre ad un dibattito aperto.
Nell’immaginario collettivo il socialismo non è altro che un grande apparato statale centralizzato, diretto da una enorme e massiccia burocrazia. Non era questo che stava nascendo in Venezuela con il prendere piede del PSUV (partito unico chavista) e della nuova direzione statale?

In secondo luogo, il risultato dimostra che le basi sociali del processo bolivariano sono eterogenee, diverse e quindi contraddittorie e che risulta impossibile ridurle a categorie generali e totalizzanti. La polarizzazione imperialismo versus popolo può essere valida per descrivere alcuni momenti di acuta confronto ma non è in assoluto una realtà permanente e unica. Ridurre l’insieme delle problematiche sociali in una “contraddizione principale” alla quale le altre si devono subordinare, impedisce l’espressione delle differenze, come dimostra l’esperienza storica del socialismo del XX° secolo.

In momenti di gravità estrema, però, le diversità possono e devono formare un pugno per battere il nemico. Ma ciò che è necessario in momenti estremi non dovrebbe – pena lo stravolgimento della realtà e degli stessi soggetti – diventare una linea di azione che, più delle volte, porta all’apparizione di leader infallibili e di un apparato centralizzato che finisce per sostituire i settori popolari, i veri fautori dei cambiamenti.

Nella sinistra esistono due modi di vedere il mondo. Un ampio settore sostiene che in Venezuela i cambiamenti sono cominciati nel 1999 con l’arrivo di Chavez alla presidenza; che la sua figura e quella dell’equipe dirigente che lo circonda sono la chiave di volta del processo in corso.

Altri come me pensano che sono i settori popolari che irruppero sullo scenario nel febbraio del 1989, come protagonisti del Caracazo, che sono i veri motori del processo. E che essi sono la chiave della continuità della rivoluzione, del suo eventuale approfondimento e dell’orientamento che si prende in cada momento.

Una parte di questo popolo bolivariano ha deciso di “lasciar passare la palla”. Dovremmo accettare che si tratta di una decisione cosciente e meditata e non della mera influenza del “nemico”. Perché coloro che hanno portato a capo un’insurrezione nel 1989, che hanno affondato un sistema corrotto di partiti nel 1990, che hanno invertito il colpo di Stato in 2002 e sconfitto lo scipero dei petrolieri in 2003, dovrebbero lasciarsi manipolare dall’impero e dall’oligarchia? La rivoluzione bolivariana continuerà perché il “popolo delle colline”, quelli che hanno votato Sì come quelli che si sono astenuti, lo stanno decidendo giorno per giorno da quasi già due decenni.

di Raul zibechi