Cgil in piazza: qualche riflessione alla luce della vicenda Alitalia

L’invito della Cgil a manifestare contro la politica economica e sociale del governo e contro le “riforme” dell’istruzione e del welfare previsto per il 27 settembre, in diverse città italiane, ha avuto un buon riscontro. Il sito della Cgil www.rassegna.it parla di parecchie centinaia di migliaia di lavoratori/trici mobilitat* per difendere “i diritti in piazza” (questo il logo dell’iniziativa). In questo modo la Cgil ha “interrotto il monologo del governo Berlusconi”, come si è espresso Italo Tripi (Cgil Sicilia) al comizio di questa mattina a Palermo.

A Torino, nel pomeriggio, un corteo di 7-8mila persone si è mosso da p.za Vittorio per concludersi in P.za Castello di fronte alla prefettura. Molte le bandiere rosse del sindacato, anche se pochi gli slogan e non molto in evidenza la rabbia verso il governo. Si è trattato ancora fondamentalmente di un corteo della “base” Cgil con una più che buona partecipazione nello spezzone della scuola dove fanno capolino anche i genitori, protagonisti per altri versi dei primi momenti di sensibilizzazione e autorganizzazione ; discreta la presenza della Fiom.

Tre brevi considerazioni su questa iniziativa e dintorni:

1. il vertice e l’apparato Cgil avevano e hanno bisogno di un minimo di mobilitazione, controllata e contenuta, per non arrivare completamente sguarniti al tavolo della trattativa con la Confindustria sulla riforma della contrattazione, la quale prepara non pochi bocconi amari per il lavoro dipendente;

2. la posizione della Cgil, debolissima verso le misure del governo e i quasi ultimatum della Confindustria oltreché l’atteggiamento arrogante e ricattatorio della Cisl, ha ricevuto un quasi insperato aiuto dalla reazione dei lavoratori/trici dell’Alitalia che ha permesso a Epifani di recuperare una contrattualità assai compromessa e al contempo ha un po’ ravvivato una parte, seppur minoritaria, del mondo del lavoro. Inutile dire che Epifani se ne è servito per dare l’avallo alla svendita dell’azienda alla Cai in cambio di concessioni minime sulle condizioni di lavoro (ma qualcosa in più, pare, sull’ingresso di un forte partner straniero: paradossi della rappresentanza sindacale!) e per trovare una sponda per l’ennesima volta nel Pd

3. mai nella vertenza Alitalia è venuta da parte Cgil una denuncia di quello che era ed è il cuore dell’operazione berluskoniana: non solo e tanto la privatizzazione dell’azienda quanto soprattutto la sottomissione completa del lavoro a un capitalismo che, attraverso la rapacità di un manipolo di speculatori che di proprio non rischiano nulla, fa profitti oramai prevalentemente con la finanza impacchettando e svendendo aziende (il Tremonti “anti-mercatista” dove mai s’è rintanato?!).

La lotta Alitalia ha, anche solo per un momento, rotto queste complicità di fondo. Si è trattato, al di là di tutte le debolezze e contraddizioni del caso, di un primo timido esempio di cosa potrebbe essere in futuro una lotta che mette al centro il rifiuto del lavoro sussunto alla finanza. Non , attenzione, “lavoro contro finanza”, produzione contro speculazione – come da qualche parte, ingenuamente o meno, si torna a pensare – ma lotta (e quindi rifiuto in forme inedite, non più solo “operaista” ma socialmente diffuso all’altezza della sussunzione reale) alla subordinazione di quello che realmente il lavoro e l’intera attività sociale sono diventati in questo sistema sociale che assorbe tutta la vita nel capitale. Per un diverso tipo di attività – e non semplicemente per la valorizzazione di un lavoro che resti però sfruttato ed eterodiretto – e per una finalità non solamente “pubblica” ma finalmente comune!

di InfoAut