Don Marco Dessì: storia di ordinaria pedofilia


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Dodici anni in primo grado, otto in appello. Sono le pene cui è stato condannato padre Marco Dessì, sacerdote di Villamassargia (Cagliari), accusato di violenza sessuale su minori e possesso di materiale pedopornografico. Reati commessi in Nicaragua, dove gestiva una missione che comprendeva anche un orfanotrofio: l’”Hogar del nino”, a Chinandega. E proprio i piccoli trovatelli sarebbero stati, secondo i magistrati, vittime delle sue sevizie: don Marco ne abusava e li costringeva anche ad avere rapporti sessuali fra loro mentre li riprendeva con una telecamera.

Secondo la Procura della repubblica di Parma, che ha condotto l’inchiesta, tutto sarebbe avvenuto in Nicaragua, dal 1983 in poi. Ma abusi sarebbero stati commessi anche in Italia e in altri paesi, dove il missionario accompagnava gruppi di bambini che facevano parte del Coro del Getsemani per promuovere raccolte di fondi da destinare alla missione.

I magistrati di Parma hanno accertato che grazie a una rete di relazioni anche ad altissimo livello istituzionale, godeva di uno status di assoluto privilegio. Non a caso, le periodiche denunce degli abusi sessuali cui venivano sottoposti gli orfanelli cadevano regolarmente nel vuoto. Né le autorità locali hanno mai aperto un’inchiesta anche dopo l’arresto in Italia e le condanne, in primo e secondo grado del missionario.

In Sardegna poteva contare su foltissime schiere di benefattori; fra i più generosi, anche un giornalista cagliaritano, Cesare Corda, che nel 1991 don Marco invitò a trascorrere un periodo di soggiorno a Betania. Corda scoprì una realtà ben diversa da quella che aveva sempre immaginato. In primo luogo, notò che mentre i bambini vivevano in una condizione di estrema indigenza, il sacerdote si concedeva un tenore di vita piuttosto lussuoso. Ma il peggio arrivò quando alcuni orfanelli gli confessarono di dover sottostare alle violenze sessuali del missionario. Analoghe confidenze aveva raccolto anche un altro volontario, il milanese Angelo Caterina, che lavorava a Betania

Corda e Caterina decisero di informare le autorità del Vaticano. Col risultato di provocare, ma solo per un breve periodo, il trasferimento di don Marco. Poi, tutto tornò come prima.

Nell’estate 2005, un altro volontario cagliaritano, Gianluca Calabrese, della onlus Solidando, venne a sapere delle violenze. Avviò allora una propria inchiesta,  quindi le sottopose a scrupolosa verifica insieme ai componenti della onlus di Modena Rock no war e ai rappresentanti del Comune di Correggio che, insieme a Solidando, avevano procurato ingenti finanziamenti per Betania. Nel luglio 2006, i volontari si presentarono in Vaticano e informarono il Promotore di giustizia della Congregazione per la dottrina della fede. Dopo gli accertamenti eseguiti l’alto prelato consigliò ai volontari di rivolgersi anche alla magistratura ordinaria. Quindi, il 17 ottobre 2006, fece recapitare a don Marco un Precetto penale ecclesiastico intimandogli di rientrare immediatamente in Italia e di ritirarsi in preghiera presso la comunità Nuovi orizzonti di Frosinone. A pena di scomunica.

Era l’inizio di un processo ecclesiastico, attualmente sospeso, in attesa delle conclusioni della magistratura ordinaria. Ma, all’epoca, il sacerdote di Villamassargia non sapeva di essere nel mirino della Procura della repubblica di Parma. E tentava disperatamente di difendersi, e di difendere l’immenso patrimonio accumulato in Nicaragua, attraverso un vorticoso giro di telefonate. Tutte registrate dai carabinieri. Quelle intercettazioni, presentate al processo, hanno messo in evidenza la personalità piuttosto spregiudicata di un missionario che per neutralizzare i suoi accusatori era disposto a usare tutti i mezzi: dall’omicidio alle pesanti intimidazioni, alla corruzione, al ricatto, coinvolgendo anche la polizia del Nicaragua, che sapeva di poter manovrare.

Il 4 dicembre 2006 padre Marco Dessì è stato arrestato a Villamassargia. Nel suo computer, i militari hanno trovato oltre 1400 immagini pedopornografiche. Le ultime, catalogate pochi giorni prima che gli mettessero le manette.

Contro di lui le accuse di sei giovani, oggi fra i 22 e i 28 anni, che sono stati ospiti dell’orfanotrofio Hogar del nino di Chiandega: Oscar, Juan Carlos, Riccardo, Irvin, Luis David e Marlon. Tutti hanno sostenuto di essere stati vittime di ripetute violenze sessuali da parte di don Marco, all’epoca in cui facevano parte del Coro del Getsemani. Ma, nel processo di primo grado, al sacerdote sono stati contestati solo gli abusi commessi nei confronti dei primi tre giovani.  Tutte le altre accuse erano infatti cadute in prescrizione.

Il missionario è comparso per la prima volta in giudizio nel corso di un incidente probatorio tenutosi a Parma il 28 dicembre 2006.

Fra i testimoni più implacabili, Marlon, il giovane che  con le sua accuse ha dato il via all’inchiesta. I giudici gli hanno dedicato un’intera udienza. Marlon e gli altri ragazzi sono stati sottoposti, per disposizione del Pm, a una perizia psicologica che li ha giudicati assolutamente attendibili. Anche se tutti si portano appresso le conseguenze di quel terribile periodo. Don Marco considerava quanto realizzato a Betania, grazie alla generosità di tanti benefattori, come cosa sua. Lo dimostra quando, richiamato in Italia,  dà disposizioni a un collaboratore, perché metta al sicuro il patrimonio. Per neutralizzare i testimoni, già arrivati in Italia, don Marco non bada ai mezzi. E quando Vanegas (il suo collaboratore) gli dice che «dovranno pure rientrare in Nicaragua, e avranno vita corta» lui non si scompone neppure di fronte all’ipotesi di omicidio. Consiglia a Vanegas di corrompere i testimoni con soldi (30 mila dollari) «dai soldi, usa soldi». Vuole neutralizzare soprattutto Marlon, il principale accusatore, a tutti i   costi, corrompendolo o «facendolo arrestare dalla polizia» che evidentemente sa di poter manovrare.

Tanto attivismo non giova però al sacerdote di Villamassargia, ma consente agli inquirenti di inquadrare meglio la natura di un personaggio pronto a tutto pur di scrollarsi di dosso accuse infamanti. Il processo di primo grado si celebra a Parma il 23 maggio 2007. Il Pm Lucia Russo chiede per don Marco la condanna a 16 anni di reclusione. Il Gup Pietro Rogato gliene infliggerà 12, il massimo, ritenendo ampiamente provate le accuse di violenza sessuale su minori e possesso di materiale pedopornografico. Nei successivi gradi di giudizio le cose si mettono diversamente. Nel processo d’appello celebratosi a Bologna il 1 novembre 2008 la corte riduce la pena da 12 a 8 anni. La posizione di don Marco potrebbe alleggerirsi ulteriormente perché, il 27 maggio scorso, la terza sezione della Corte di cassazione ha annullato con rinvio la sentenza di appello per tutti i fatti commessi prima del 10 agosto 1998. Questo perché, fino a quella data, il Pm che ha condotto l’inchiesta avrebbe dovuto chiedere l’autorizzazione a procedere al ministero della Giustizia, trattandosi di reati commessi da italiani all’estero. Nell’agosto ’98 la norma (art. 604 del codice penale) è stata modificata e l’autorizzazione ministeriale non è più prevista. Questo significa che si dovrà celebrare un nuovo processo di appello nel quale l’imputato dovrà rispondere solo dei reati che risulteranno commessi dopo il 10 agosto 1998. È il caso di evidenziare che questa è la prima volta che viene applicata in Italia questa normativa,  già altri 5 giudici avevano ritenuto non necessaria l’autorizzazione.

Nessuno ha mai sollevato, nei vari gradi di giudizio, dubbi sulle testimonianze quindi il lavoro svolto da tutti è stato valutato come positivo e non negato dalla cassazione: il rischio grosso, al momento, è che Dessì venga mandato a casa per un vizio di forma.