Addio, imprescindibile Daniel

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Bensaid, filosofo e militante politico dell’Npa francese si è spento il 12 mattina a Parigi. Scompare una delle menti migliori d’Europa, un’immensa perdita per il pensiero critico e il marxismo internazionale.

di Salvatore Cannavò

Abbiamo perso una delle menti migliori di questa Europa sconfitta e depressa. Daniel Bensaid ha saputo irradiare con la sua immensa capacità di scrittura e di riflessione diverse generazioni politiche e militanti e non è un caso se oggi lo piangono quelli della sua generazione, la generazione post-sessantotto e anche i più giovani. Quelli che lo hanno conosciuto ai campi della Quarta internazionale dove è sempre stato presente per tenere un meeting sul senso della rivoluzione oggi, oppure per animare la scuola di base o ancora semplicemente per stare al bar, attorno a una tenda, seduti per terra cercando di inventare iniziative nuove, progetti, collegamenti internazionali tra paesi differenti e tra generazioni lontane. E’ stato il miglior intellettuale di frontiera e di collegamento che abbia conosciuto. Amatissimo dentro la Quarta internazionale per il contributo di pensiero che è stato in grado di offrire, come prova la sua straordinaria bibliografia, e per lo stile gioviale, sincero, amabile con cui ha tessuto le sue relazioni. Nella sua biografia, la Lente impatience, pubblicata in Francia qualche anno fa e che pubblicheremo a breve con Alegre, la genesi di questo amore è narrata con semplice linearità senza alcun compiacimento. A ventidue anni nel ’68, Daniel era a fianco di Alain Krivine e Henri Weber (ma anche di Pierre Rousset) ad animare le occupazioni studentesche ma soprattutto a chiedersi come scuotere la società francese e la sua sinistra. Lui, il giovane accanto ai due più grandi, Krivine e Weber, ma con una capacità di scrittura e di pensiero che subito si cristallizza nel Mai 68, Une répétition générale, edito da Maspero e scritto in collaborazione con Weber (il quale finirà nel partito socialista dopo aver contribuito a fondare la Lcr).
Lo sforzo riesce perché dopo il ’68 l’allora Junesse communiste revolutionnaire fonda la Lcr, la mitica Ligue, un’organizzazione che ha fatto, ad esempio, la differenza tra l’estrema sinistra francese e quella italiana. Un’organizzazione che ha resistito per quarant’anni e che quando si è sciolta, nel febbraio del 2009, lo ha fatto solo per far nascere un nuovo partito, l’Npa, tre volte più grande e in grado di catturare il 5% dei consensi. Una success story, risultato di un lavoro paziente e certosimo, a differenza dell’Italia dove l’estrema sinistra si è via via autoconsumata nel corso degli anni, con una dispersione micidiale di energie, anche intellettuali, e una desertificazione del dibattito da far paura. Se oggi possiamo registrare questa differenza lo dobbiamo anche alla mente lucida e curiosa di Bensaid e soprattutto a una qualità rara per un intellettuale della sua levatura: costruire pensiero e strategia e guidare organizzazioni politiche, stare in prima linea, costruire progetti anche dal basso, magari solo nella sua facoltà. Negli ultimi dieci anni ci ha permesso di formare Projet K, la rete europea di riviste marxiste che a lui doveva la nascita e soprattutto la capacità, per un breve periodo purtroppo, di mettere in rete esperienze tra loro diverse animando diversi dibattiti che si sono proiettati dentro il flusso dei Forum sociali mondiali. Senza Daniel questa esperienza militante internazionale non sarebbe mai nata, lui garantiva il collante e la credibilità necessari anche verso le aree politiche esterne alla storia della Quarta internazionale. Nel passaggio dalla Lcr al Npa si era molto impegnato per far nascere la Fondazione Louise Michel, centro di studi e ricerca non a caso dedicato alla memoria di una storica libertaria francese, a testimonianza della sua ricerca per un marxismo aperto, creativo, per nulla dogmatico. In questo senso, la sua opera più grande resta forse Marx l’intempestivo, dove coglie un Marx in anticipo sui tempi, intempestivo appunto, e ne ripercorre con un respiro inusitato i tre cicli di pensiero: quello storico, quello filosofico e quello economico. A Marx ha continuato a dedicarsi anche nel dettaglio: pochi in Italia conoscono una bellissima ricostruzione della vita di Marx – Passion Marx, edito da Textuel – del tutto estranea se non avversa alla santificazione del personaggio, in cui si ripercorrono i passi della vita del filosofo di Treviri attraverso la sua fitta corrispondenza con Engels. E sempre su questa linea, una delle ultime produzioni di Bensaid sarà di nuovo la ricostruzione del pensiero marxiano illustrato stavolta dalle vignette di Charb. «Un modo – spiegava – per rendere Marx ancora più accessibile e popolare di quanto in genere sia». E poi potremmo citare ancora gli Spossessati (Ombre corte) in cui si applica all’annosa questione del furto di legna nei boschi con cui Marx inizia a polemizzare con la struttura hegeliana e l’approfondimento del Marx politico realizzato in Inventer l’inconnu, un lungo saggio a corredo del carteggio tra Marx e Engels sulla Comune di Parigi. Così come è altamente formativo, per noi lo è stato, le Sourire du Spectre in cui si diverte a rimotivare, nel 2000, alla vigilia del nuovo movimento antiglobalizzazione, gli assi fondanti del comunismo marxiano nella società moderna.
Il movimento di Seattle e Porto Alegre non lo prende assolutamente alla sprovvista. Filosoficamente lo aveva già presentito e elaborato e nondimeno l’esperienza dei Social Forum è fondativa proprio per motivare il filo rosso del suo pensiero e della sua ricerca: attualizzare Marx e il marxismo, non ossificarlo, non lasciarlo carne morta in attesa di adorazione ma soggetto vivo, operante nell’immanente e strumento ineludibile di comprensione del ritmo, del divenire, dell’imprevedibilità della lotta di classe. Era stato già pronto nel 1995 in Francia, all’epoca del grande sciopero generale che cambia la storia recente francese, quando insieme a Christophe Aguiton scrive Le retour de la question sociale e lo è di nuovo nel primo decennio degli anni 2000. La sua produzione libraria da qui in avanti è impressionante, complice anche la presenza di una malattia difficile con la quale convive con caparbietà e determinazione ma che lo spinge a dare il massimo per liberare tutte le sue energie. Scrive testi di polemica francese – contro Henri Levy, ad esempio – produce ricerca marxista, scrive la sua biografia più completa, il cui titolo, la lenta impazienza, costituisce il programma politico del nostro tempo e accompagna la nascita del Npa con Penser Agir, pour une gauche anticapitaliste e Prenons parti – Pour un socialisme du XXIe siècle, scritto con Olivier Besancenot. E poi articoli su articoli, organizza e partecipa a convegni.
L’ultima volta che l’ho incontrato è stato l’estate scorsa a Port Leucat nella Catalogna francese, a Perpignan, dove l’Npa ha organizzato la sua prima Università estiva, con circa 1500 partecipanti. Abbiamo discusso a lungo nonostante fosse già malato e avesse una miriade di impegni. Abbiamo discusso dell’opportunità di pubblicare in Italia i suoi scritti su Walter Benjamin – eventualità ancora più necessaria, ora – altro autore caro a Bensaid proprio per la sua “eterodossia” mentre era già preso nell’organizzazione di un grande convegno a Parigi sull’attualità del comunismo. Era a sua agio in quell’ambiente, l’ambiente della sua vita a cui non ha mai fatto mancare il suo apporto, nemmeno nei momenti più difficili della sua lunga malattia.
L’ambiente che ha contribuito a creare e rafforzare quando, alla fine degli anni 70, al termine di quel decennio in cui “la storia ci mordeva la nuca” come ha scritto nella Lente impatience, prese la direzione della Quarta Internazionale e lavorò attivamente per aiutare nella costruzione della sezione brasiliana – quella di Porto Alegre dove Daniel è stato uno dei personaggi internazionali più riveriti – o di quella spagnola, l’analoga Lcr che all’inizio degli anni 80 costituiva una delle realtà più dinamiche e vivaci della sinistra europea. Per più di un decennio Bensaid è stato un dirigente politico a tutto tondo, costruendo il passaggio dagli anni 70, gli anni del grande balzo in avanti del movimento trotzkysta, alla depressione e al riflusso degli anni 80. Il libricino Chi sono questi trotzkysti, è in questo senso amabile e completo perché restituisce una vicenda complicata, intricata che Daniel riesce a collocare storicamente, a inquadrare nel difficile corso storico del movimento operaio.
Da dirigente politico, Bensaid era particolarmente “gauchiste”, termine traducibile con estremista anche se nell’accezione francese ha un sapore più complesso. E’ tra coloro che dirige l’assalto della Lcr nel ’71 contro i fascisti di Ordine nuovo, in seguito al quale la Ligue verrà messa fuorilegge. Quando lo racconta nella sua biografia ricorda divertito il ruolo che in quell’azione svolsero personaggi in seguito divenuti famosi non certo per la loro bellicosità come Aguiton, leader del movimento altermondialista, ma soprattutto Edwy Plenel, storico caporedattore, e poi direttore, di Le Monde. Con gli anni, e nel corso dei Novanta, diventa più completo e il lavoro intellettuale si riversa nell’elaborazione politica conferendola uno spessore nuovo. E un’autorità morale innegabile.
Dirigente politico e intellettuale, militante modesto e pensatore. In Italia non ne abbiamo conosciuti molti. E al nostro paese un intellettuale pensiamo che sia mancato molto. Un intellettuale tenace, resistente, in grado di mantenere per oltre quarant’anni, senza cedimenti, senza abiure, senza tentennamenti, il filo rosso del progetto rivoluzionario. Un intellettuale in grado di “sporcarsi le mani” e di dare ancora un volantino a 60 anni, in grado di stare in mezzo ai giovani come se fosse ancora ventenne, di indicare la strada, di restare imprescindibile, per usare l’espressione celebre di Che Guevara.
Imprescindibile, è così che vogliamo ricordare Daniel Bensaid, la cui amicizia ci ha onorato, la cui presenza ci ha dato una grande forza e un grande slancio e la cui assenza non sappiamo proprio come possa essere colmata.