report della prima assemblea precaria

PROSSIMA ASSEMBLEA PRECARIA, DOMANI (GIOVEDÌ 6 DICEMBRE), ORE 21.00

@Spazio Sociale La Boje!, strada Chiesanuova 10

Riportiamo qua sotto una sintesi, parziale, della bellissima discussione intavolata la scorsa settimana tra precari.

Speriamo possa essere utile e stimolante per allargare la partecipazione.

Giovedì sera più 15 persone coinvolte in vario modo nel processo globale di nella precarizzazione dei rapporti lavorativi si sono trovate per discutere insieme sul come organizzarsi per costruire uno spazio di analisi e azione accessibile al crescente numero di individui senza una sicurezza lavorativa e un piano di tutele.

La situazione politica ed economica che viviamo oggi necessita di un profondo ripensamento delle basi su cui impostare un’ aggregazione di persone che lottano per i propri diritti.

La precarietà non è stata qualcosa di passeggero, un mezzo per aumentare la forza lavoro impiegata o la fascia produttiva dei lavoratori meno fortunati, la precarietà è diventata un tratto endemico dei rapporti di lavoro causata anche dalla ricollocazione dei centri produttivi a livello mondiale verso gli stati con un minore costo del lavoro che ha sottratto le forze e la voce al movimento operaio occidentale.

Da questa affermazione dobbiamo necessariamente muovere delle considerazioni, oltre che delle radicali inversioni di tendenza, altrimenti sarebbe come se usassimo dei martelli per accendere un computer.

La precarietà, quello strumento pensato dal sistema economico neoliberista per dividerci, diventa un elemento unificante che supera la sindacalizzazione agita per reparti stagni e pone all’ordine del giorno progettualità diverse nelle rivendicazioni e nella mobilitazioni.

Per esempio la raccolta firme per il referendum contro la legge Sacconi e per la difesa dell’articolo 18, pur essendo un’ iniziativa onesta,viene vista con distacco e antipatia tra quei soggetti che mai hanno beneficiato dell’impossibilità del licenziamento senza giusta causa; nel momento in cui poi la crisi economica mette in discussione le precedenti forme di governo,  commissariando la politica in modo plateale alle necessità del profitto, la concertazione con i governi, i ministeri e gli enti, un’ iniziativa di questo tipo diventa ancor più frustrante, rituale e priva di significato.

Si potrebbe dire ancora di più: nel momento in cui i confini della conflittualità classica e controllata, diventano delle gabbie, bisogna provare ad evadere, con nuove pratiche di lotta ragionate sulla condizione di chi è precario oggi.

Che fare quindi?

In un primo momento è necessario considerare la precarietà come una condizione nuova e globale, che trascende i cancelli dei luoghi di lavoro.

Se a noi manca un progetto comune, l’1% della popolazione sta sfruttando la crisi per far diventare tutti precari, non solo su un piano contrattuale.

I tempi delle nostre vite sono intermittenti, subordinati alla disponibilità o meno di lavoro e i progetti di costruzione autonoma di un proprio futuro, dalla formazione all’uscita di casa, devono continuamente fare il conto con l’impossibilità di mettere qualcosa da parte.

Essere precari significa in primo luogo essere isolati, non sentirsi accomunati ai propri simili da una condizione comune di sfruttamento.

L’ isolamento deve costituire un primo piano su cui sviluppare un immaginario. L’arma del sistema per combatterci, deve diventare diventa il nostro elemento caratterizzante su cui costruire un’identità generalizzante.

La solitudine e lo spaesamento verso le forze politico e sindacali sono quei tratti distintivi che permettono di approcciarsi al problema non in modo meramente vertenziale: non chiediamo semplicemente un contratto migliore e più stabile, vogliamo riprendere in mano il futuro delle nostre vite e il peso del lavoro su queste.

Il capitalismo, per come l’abbiamo conosciuto, è in crisi e si sta ristrutturando sulla nostra pelle, è il momento di osare, pretendere tutto e passare all’attacco!

La mancanza di unità tra i precari, diventa allo stesso tempo un mezzo per comprendere su quale tipo di pratiche insistere.

Se diciamo che è l’anno 0 della sinistra, o più in generale dell’organizzazione delle rivendicazioni degli sfruttati, dobbiamo riprendere forme di unione che partano dalle semplici relazioni sociali. Il mutualismo diventa, in questi tempi, necessario per riaggregare ciò che il capitale disgrega.

L’ assemblea precaria vuole essere un tentativo graduale di organizzazione, aperto a tutt*, aldilà dei singoli percorsi sindacali, ma con un ragionamento (a lungo termine) sulle forme di associazione di lavoratori in difesa dei propri diritti. Nuove forme di sindacalismo sono apparse l’anno scorso attorno al movimento di OCCUPY OAKLAND, proprio negli Stati Uniti dove i sindacati non hanno più agibilità e sono totalmente incorporati nel bilancio aziendale.

Il precariato incide sulla società tutta in quanto e oltre che sfruttare i singoli, a livello tecnico, non fa funzionare bene i progetti e i servizi per cui una persona lavora.

Se l’autista con il contratto subbappaltato è stanco, se il docente è costretto a cambiare città ogni anno, se l’educatore può seguire il paziente solo per sei mesi e poi passare ad un altro,  significa che così la società funziona male e che la prospettiva su “quale lavoro” deve tornare nelle mani dei lavoratori.

È necessaria quindi una maggiore solidarietà e unione tra le lotte, i sindacati tradizionali non funzionano perchè i propri iscritti si organizzano per categorie che non si parlano e non solidarizzano tra di loro.

Tutto ciò non basta però, ci rendiamo conto di essere parziali ed è necessario eseguire il difficile compito di “entrare nella classe” in un momento in cui quest’ultima è disgregata.

Da dove partire?

Aldilà delle questioni unificanti quali l’opposizione alle politiche d’austerity e al pagamento del debito, con la conseguente critica alla gestione delle risorse, dobbiamo concentrare le forze in una serie di settori di intervento.

Non si può entrare in empatia con le varie situazioni specifiche semplicemente sventolando la bandiera della rivolta. Riteniamo quindi fondamentale produrre dei contributi, sviluppare delle analisi, creare dei momenti in cui chi si sente solo possa “sfogarsi” e raccontare le caratteristiche del proprio luogo di lavoro e delle sconfitte quotidiane, per trasformarle in vittorie.

Allo stesso tempo è necessario confrontarsi sui luoghi su cui agisce la crisi e le resistenze a questa. Una mappatura della crisi nella nostra provincia come proposta di lavoro di studio, ma anche un intervento diretto, nei quartieri e nei paesi, dormitori che possono trasformarsi in luoghi privilegiati per entrare in contatto con chi lavora nelle, difficilmente permeabili, piccole aziende.

Vorremmo discutere i prossimi giovedì, alle 21.00 allo Spazio Sociale LaBoje!, per capire da quali problematiche iniziare il nostro percorso, sia per un intervento più pratico e sul territorio, che per un livello più teorico e di approfondimento.

Questo può essere un ottimo canale per riattivare i tanti universitari fuori sede, che spesso, dopo anni tra affitti, tasse e trasporti, tornano a Mantova con poche prospettive lavorative e un sapere funzionale unicamente alle necessità delle agenzie interinali.

 

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