UNA PIZZA CON LE IMPRONTE

Controlli e impronte digitali per mangiare un piatto di pasta. A Napoli la paura della truffa sui buoni pasto per gli studenti e le lunghe file nelle mense, affollate a quanto pare anche da «non aventi diritto», hanno fatto scattare un allarme da parte dell’Edisu (Ente per il diritto allo studio) che per certi aspetti rasenta il ridicolo. Chi, infatti, frequentando l’università non ha ceduto almeno una volta il proprio ticket a un amico fuorisede, a un altro studente, a una matricola che ancora doveva accedere ai servizi degli atenei, senza per questo commettere un reato? Eppure il panico da legalità, la mania dei controlli, il rigore contro giovani «impostori» che consumano «illegalmente» la pizza nei ristoranti convenzionati (dove in ogni caso si lascia un contributo spese), la sta facendo da padrone nella polemica sugli studenti truffaldini. I buoni emessi dall’Edisu sarebbero infatti spesso ceduti ad altri giovani che indebitamente consumano pasti a prezzi convenienti grazie al contributo pubblico. Così nella città «dell’arte d’arrangiarsi» l’escamotage trovato dai giovani per risparmiare qualche euro non piace alle istituzioni. La proposta del consiglio Edisu è allora d’installare in tutti i ristoranti convenzionati dei macchinari per controllare a tappeto le impronte agli studenti che accedono ai servizi. E la possibilità di indire una gara d’appalto per lettori ottici anti-truffa fa già gola. D’accordo con la schedatura il rettore della Federico II, Fulvio Trombetti, e l’assessore alla ricerca e all’università della Regione Campania, Luigi Nicolais. «Va bene introdurre la rilevazione delle impronte, a patto che non venga compromessa la privacy dei ragazzi – ha detto Nicolais – La mia idea è che questi dispositivi, una volta accertata l’identità del beneficiario del servizio, non conservino i dati acquisiti ma li cancellino immediatamente». Nel frattempo la Confederazione degli studenti ha lanciato un sondaggio per verificare l’orientamento degli universitari che usufruiscono del servizio. «Sono già arrivate le prime risposte – dice Francesco Borrelli, leader della Confederazione e consigliere di amministrazione dell’Università – e gli studenti sono d’accordo con i controlli». Ma continua a dividere il mondo accademico e non solo l’idea d’immagazzinare migliaia di impronte digitali e schedare gli studenti come da tempo avviene negli Stati uniti. Sebbene altrettanto criticabile, oltreoceano i controlli avverrebbero per questioni più gravi degli spaghetti con il sugo mangiati a sbafo. Sparatorie nelle scuole, continue risse e spaccio di droga sono problemi all’ordine del giorno, e in ogni caso la repressione non sembra abbia contribuito a ridurre gli incidenti, anzi. Insomma ci troviamo di fronte all’ennesimo passo verso quell’american way of life fatta di controllo ossessivo della vita collettiva? Contro questa possibilità si schiera decisamente il movimento degli studenti e la rete studentesca campana «sempre ribelli». «Noi chiediamo più diritti, un reddito studentesco, l’accesso gratuito alle manifestazioni culturali, l’ampliamento degli spazi democratici e di confronto, e loro rispondono con una militarizzazione delle mense. E’ questo l’ambiente blindato in cui le istituzioni, i rettori pensano bisogna studiare e formarsi?» si chiedono gli studenti. «E poi ci piacerebbe sapere quali studenti hanno risposto al sondaggio della Confederazione, chi vuole subire un controllo della propria identità per andare a mangiare?». A esprimere perplessità anche l’ex rettore del più importante ateneo napoletano, Fulvio Tessitore. «Ho molti dubbi anche sul metodo – ha spiegato – Vorrei sapere come si fa ad immagazzinare migliaia di impronte digitali. E poi credo che si farebbero file lunghissime, mentre ci sono sistemi più efficaci per stroncare questi comportamenti illeciti».

Il manifesto – 06 Gennaio 2004

FRANCESCA PILLA

NAPOLI


Napoli, l’Edisu propone di schedare gli studenti che vanno a mensa:”installare in tutti i ristoranti convenzionati dei macchinari per controllare a tappeto le impronte agli studenti che accedono ai servizi”.Torna l’idea d’immagazzinare migliaia di impronte digitali e schedare gli studenti come da tempo avviene negli Stati uniti. Ed è subito polemica.