20 ottobre: settecentomila

Sì, ma perché siamo qui?
Buonasera! E’ proprio una bella sera!
Noi siamo Gabriele Polo, direttore del manifesto, Piero Sansonetti, direttore di Liberazione, e Pierluigi Sullo, direttore di Carta, e siamo in questo momento in buonissima e foltissima compagnia:
in questa piazza siamo 700 mila

Sì, ma perché siamo qui?

Qualcuno ha detto che le ragioni di questa manifestazione sono incomprensibili.
Ed è vero.
In effetti è incomprensibile perché si debba protestare per ottenere che i giovani abbiano un lavoro non precario: che possano avere un futuro.
E’ incomprensibile che si debba difendere il diritto di lavoratori che hanno 35 anni di fatica sulle spalle ad andare in pensione.
E’ assurdo che tocchi opporsi a una politica della «sicurezza» che perseguita lavavetri, graffitari e venditori ambulanti: come se le nostre città non avessero ben altri problemi, ad esempio le decine di migliaia di famiglie minacciate dagli sfratti.
E’ inconcepibile che diritti civili e di libertà, come quelli delle donne e come quelli di omosessuali e trans, riconosciuti in ogni paese d’Europa, nel nostro vengano disprezzati e diventino troppo spesso ostaggi di giochi di potere.
E’ misterioso il motivo per cui le comunità locali, e il loro ambiente, vengano calpestati progettando grandi opere molto spesso inutili e sempre costosissime.
E’ incredibile come si possa definire «questione urbanistica» una nuova base militare statunitense, e imporla ai cittadini, mentre si aumentano enormemente le spese militari.
E’ inspiegabile che si continui a morire nei centri di detenzione per migranti, che si debba registrare il suicidio di Menem e Mohamed, due in due giorni, in quello di Modena.
Ma quel che è davvero incomprensibile è come si possano chiedere voti su un programma di governo che poi viene buttato via come un oggetto imbarazzante.

Qualcuno ha detto che quella di oggi è una manifestazione «identitaria».
Ed è vero.
I rom che sono venuti con i pullman dal ghetto di Castel Romano, all’estrema periferia di Roma, hanno la loro identità, cultura, lingua, storia. Eppure sono trattati da criminali, sono discriminati e vilipesi.
I lavoratori delle decine di rappresentanze di fabbrica che sono qui hanno la loro identità, e non ci rinunciano: perciò talvolta decidono perfino di votare «no».
I compagni della Sicilia, che sono venuti in mille ad unire l’Italia, o i mille e cinquecento che hanno navigato fin qui dalla Sardegna, sono indubbiamente siciliani e sardi, oltre che giovani e lavoratori che cercano di vivere la loro vita fuori dalle clientele e dalle mafie.
Gay, lesbiche e trans, che hanno sfilato con allegria e consapevolezza, hanno certamente un’identità di cui vanno orgogliosi e orgogliose: proprio per questo ci fanno tutti sentire più liberi.
I migranti che hanno riempito i pullman per intraprendere un viaggio verso la cittadinanza sono marocchini e rumeni, polacchi e filippini, sono di molte nazionalità, ciascuna delle quali è una identità: perciò ci fanno sentire meno soli.
I cittadini di Tarquinia e Civitavecchia che non vogliono respirare il carbone pulito dell’Enel, sono fieri delle loro antiche città, e la loro identità ci aiuta non perdere le radici, a non smarrirci nei centri commerciali.
Qui abbiamo una quantità enorme di identità. Per questo possiamo sperare che la democrazia ricominci a funzionare.

Qualcuno ha detto che si dovranno valutare le conseguenze della nostra presenza qui, e di quel che diciamo.
Ed è vero.
Dobbiamo fare in modo che ripartito l’ultimo pullman, una volta tornati a casa, tutti noi non chiudiamo questa giornata come una parentesi felice, ottimista, che ha l’allegria delle gite con gli amici.
Dobbiamo guardare il calendario, domattina, e il giorno dopo e quello dopo ancora, e vedere che domani, dopodomani e la prossima settimana è ancora il 20 ottobre.
Qui c’è una quantità di persone oneste, che hanno a cuore i destini del loro paese, che vogliono curare le sue sofferenze, prendersi cura dei paesaggi e delle città, far sì che nessuno resti solo, sia abbandonato indietro, sia offeso ed escluso.
Abbiamo una responsabilità, da questa sera in poi. Quella di aprire dialoghi, fare ricerca e conoscere i nostri territori e i luoghi di lavoro, ritessere la trama della convivenza, educarci alla pace e all’amore per la terra.
Dobbiamo restare insieme, con le nostre incomprensibili ragioni e le nostre molteplici identità. Mostrare che c’è un’Italia gentile, accogliente, determinata a non subire abusi.
In questa piazza non c’è una minoranza politica, c’è la società. Qui vive la possibilità di costruire un altro mondo.

di 20ttobre