Gaza: finita la "calma", inizia la macelleria israeliana

oops
Con l’ausilio della minimizzazione complice dei media internazionali, Israele inizia la sua “vendetta” e scatena l’inferno bellico high tech di cui è capace contro un intero popolo.
Oltre 160 morti e centinaia di feriti: questo è il bilancio attuale degli attacchi aerei israeliani in corso contro la Striscia di Gaza. L’aviazione da guerra israeliana sta bombardando in diverse punti a Gaza City e nel resto della Striscia. Un vero e proprio massacro! Sul terreno ci sono già 150 morti e centinaia di feriti, ma il bilancio è destinato a salire tragicamente. Le ambulanze stanno accorrendo sul luoghi dei bombardamenti per soccorrere i feriti e portare via i cadaveri.
Sono state bombardate tutte le sedi amministrative e politiche della Striscia di Gaza ma la macchina bellica sionista non fa distinzioni. Sono i civili, i bambini, la dirigenza delle forze dell’ordine, dell’amministrazione pubblica, a essere colpiti.
Fonti mediche hanno riferito che ci sono centinaia di feriti. E’ una vera e propria guerra: gli attacchi aerei stanno colpendo il nord, il sud e il centro della Striscia. Una macelleria cui si farà scudo accampando la pioggia di qualche decina di razzi Qassam lanciata da militanti di Hamas dopo l’annuncio della fine di una tregua che solo loro avevano rispettato (sono infatti continuati, in questi ultimi mesi, gli omicidi “mirati” e lo strangolamento “civile” della Striscia).

D’altro canto, la propaganda mediatica occidentale, svergognatamente filo-sionista ha iniziato già da qualche settimana a prepararci alla ineluttabilità di questa guerra a senso unico, vera carneficina di biblica memoria, dando la colpa a Hamas e ai razzetti Qassam.
Un nuovo capitolo di un lento genocidio, nel silenzio complice della “comunità internazionale”.

oops
Con l’ausilio della minimizzazione complice dei media internazionali, Israele inizia la sua “vendetta” e scatena l’inferno bellico high tech di cui è capace contro un intero popolo.
Oltre 160 morti e centinaia di feriti: questo è il bilancio attuale degli attacchi aerei israeliani in corso contro la Striscia di Gaza. L’aviazione da guerra israeliana sta bombardando in diverse punti a Gaza City e nel resto della Striscia. Un vero e proprio massacro! Sul terreno ci sono già 150 morti e centinaia di feriti, ma il bilancio è destinato a salire tragicamente. Le ambulanze stanno accorrendo sul luoghi dei bombardamenti per soccorrere i feriti e portare via i cadaveri.
Sono state bombardate tutte le sedi amministrative e politiche della Striscia di Gaza ma la macchina bellica sionista non fa distinzioni. Sono i civili, i bambini, la dirigenza delle forze dell’ordine, dell’amministrazione pubblica, a essere colpiti.
Fonti mediche hanno riferito che ci sono centinaia di feriti. E’ una vera e propria guerra: gli attacchi aerei stanno colpendo il nord, il sud e il centro della Striscia. Una macelleria cui si farà scudo accampando la pioggia di qualche decina di razzi Qassam lanciata da militanti di Hamas dopo l’annuncio della fine di una tregua che solo loro avevano rispettato (sono infatti continuati, in questi ultimi mesi, gli omicidi “mirati” e lo strangolamento “civile” della Striscia).

D’altro canto, la propaganda mediatica occidentale, svergognatamente filo-sionista ha iniziato già da qualche settimana a prepararci alla ineluttabilità di questa guerra a senso unico, vera carneficina di biblica memoria, dando la colpa a Hamas e ai razzetti Qassam.
Un nuovo capitolo di un lento genocidio, nel silenzio complice della “comunità internazionale”.

Sono state bombardate tutte le sedi amministrative e politiche della Striscia di Gaza ma la macchina bellica sionista non fa distinzioni. Sono i civili, i bambini, la dirigenza delle forze dell’ordine, dell’amministrazione pubblica, a essere colpiti.
Fonti mediche hanno riferito che ci sono centinaia di feriti. E’ una vera e propria guerra: gli attacchi aerei stanno colpendo il nord, il sud e il centro della Striscia. Una macelleria cui si farà scudo accampando la pioggia di qualche decina di razzi Qassam lanciata da militanti di Hamas dopo l’annuncio della fine di una tregua che solo loro avevano rispettato (sono infatti continuati, in questi ultimi mesi, gli omicidi “mirati” e lo strangolamento “civile” della Striscia).

D’altro canto, la propaganda mediatica occidentale, svergognatamente filo-sionista ha iniziato già da qualche settimana a prepararci alla ineluttabilità di questa guerra a senso unico, vera carneficina di biblica memoria, dando la colpa a Hamas e ai razzetti Qassam.
Un nuovo capitolo di un lento genocidio, nel silenzio complice della “comunità internazionale”.

Speciale Palestina -Calma Finita-

Il 19 dicembre, dopo una “tregua” di 6 mesi tra Hamas e Israele, iniziata il 19 giugno scorso grazie alla mediazione dell’Egitto, si è conclusa quella che il movimento islamico ha sempre preferito chiamare “calma”, alla luce della prosecuzione dell’occupazione e soprattutto di fronte all’arroganza militare e al mantenimento dell’embargo contro Gaza dello Stato sionista.

Un blocco di 6 mesi all’interno del quale non sono mancate tensioni, che ha certamente visto l’abbassamento del livello di scontro nei Territori Occupati e nella fascia di terra parallela alla Striscia di Gaza, ma che al contempo non ha costituito un punto di svolta importante per la popolazione palestinese, Israele ha lavorato per normalizzare il ghetto. Hamas, forza politica che controlla la Striscia dalla cacciata delle dirigenza corrotta di Al-Fatah, risalente al giugno 2007, congiuntamente con le altre forze presenti nel lembo di terra affacciato sul mar Mediterraneo e soprattutto con il comune sentire del popolo palestinese, ha fatto presente la decisione di non rinnovare la “tregua” scaduta il 19, visto le ripetute violazioni da parte israeliana e l’indisponibilità dello Stato sionista di andare realmente a mettere mano alle questioni poste. Anche perchè, al di là dei valichi chiusi, dell’embargo mantenuto e delle razzie militari sporadicamente compiute, ha pesato la penetrazione armata di Israele dentro la Striscia del 4 novembre scorso, motivata dalla necessità di distruggere un tunnel costruito sotto il confine: tra soldati israeliani e miliziani della Resistenza palestinese vi sono stati giorni di scontri, 5 militanti ed un civile gazese sono stati uccisi, sono ripartiti ovviamente i lanci di razzi qassam e Israele ha chiuso tutti i valichi, isolando la Striscia e non permettendo l’accesso dei materiali di prima necessità.

Alle 6 del mattino del 19 dicembre è quindi terminata la “tregua”, come Khaled Meschaal, leader di Hamas esiliato in Siria, e Ismail Haniyeh, primo ministro dell’Anp a Gaza, avevano dichiarato solo qualche giorno prima, il 14 dicembre, giorno del 21esimo anniversario dalla nascita del movimento di resistenza palestinese. In contemporanea, Meschaal a Damasco e Haniyeh a Gaza di fronte oltre 200mila persone. Esplicito quel che ha detto il dirigente di Hamas, Mushir al-Masri: “Siamo pronti a difendere il nostro popolo, non potevamo accettare di far proseguire la tregua senza nulla in cambio: ci avrebbe guadagnato solo il nemico”, poi “La responsabilità è solo di Israele e il nemico deve sapere che la resistenza di oggi non è quella di ieri”.

Hamas ha colto da un parte la potenzialità del momento e dall’altra ha ribadito la volontà (diversamente da altri) di non esser parte passiva del conflitto: se avesse rinnovato la tregua avrebbe poi dovuto gestire la delicata fase di transizione del mandato presidenziale dell’Anp in condizioni di debolezza, ha superato e bypassato il politichese corrente nel rapporto tra Israele e Anp di Abu Mazen, si giocherà le sue carte su tregua o conflitto con un governo sionista vuoto, che avrebbe dovuto occuparsi solo dell’ordinaria amministrazione e che invece oggi ha il fardello “Gaza” tra le mani. Le fazioni palestinesi della Striscia hanno creato già creato un direttorio per coordinare le attività armate in caso di attacco israeliano: Hamas, Jihad Islamica, Fronte Popolare di Liberazione della Palestina e Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina con ciò si stanno già preparando ad una eventuale invasione di Gaza, tanto minacciata quanto temuta da Israele in questo momento.

la cronologia della conclusione della “tregua”

* 16dic Un militante ventenne della Jihad Islamica è stato ucciso in un’incursione in borghese di soldati israeliani a Yamoun, alle porte di Jenin. Nel frattempo in tutta la Cisgiordania sono proseguiti i rastrellamenti delle truppe sioniste, 22 gli arresti. Dopo l’esplosione di 4 razzi in zone disabitate sul Neghev da parte di miliziani palestinesi Israele chiuso i valichi con Gaza.

* 17dic In mattinata 8 sono stati i qassam sparati contro il deserto del Neghev, nel pomeriggio è stata colpita la periferia di Ashqelon con 3 razzi, i quali hanno prodotto 3 feriti e sono stati rivendicati separatamente dalla Jihad Islamica, dalle Brigate dei martiri di Al-Aqsa e dai Comitati di Resistenza popolare. In serata Israele ha condotto un raid aereo su Gaza: ha ammazzato il 47enne Falah Okel e ferito 2 suoi figli attraverso un missile che ha colpito la loro casa.

* 18dic Due nuovi raid aerei dell’avaziazione israeliana nella notte, diversi i bersagli colpiti, soprattutto due presunte fabbriche di armi nei campi profughi di Jabaliya e Khan Yunis. 5 razzi di fabbricazione artigianale sono stata la risposta arrivata poco ore dopo.

* 19dic Prima il lancio di 2 razzi, poi altri 2 qassam sono stati il saluto alla fine della “tregua” dei miliziani palestinesi, soprattutto dopo l’attacco sionista della notte precedente.

* 20dic A 24 ore dalla conclusione della “tregua” Israele ha lanciato un’offensiva nei pressi di Jabaliya, uccidento un ragazzo 22enne, Ali Hijazy, e ferendo tre altre persone. Sembra che si apprestassero a lanciare qassam contro Israele, tutti appartenenti al braccio armato di Fatah, brigate dei martiri di Al-Aqsa.

* 21dic Una donna di Beit Hanoun è rimasta ferita dal colpo esploso da un carro armato israeliano.

* 22dic 5 razzi qassam, rivendicati dalla Jihad Islamica, sono caduti nel Neghev israeliano, una persona è rimasta ferita. Lo Stato sionista ha risposto lanciando un nuovo raid aereo nella Striscia di Gaza.
ultim’ora Hamas e gli altri gruppi armati palestinesi hanno accettato un cessate il fuoco di 24 ore su spinta dei mediatori egiziani. In cambio verrà permesso l’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia.

A corollario di quanto già ricordato, per il popolo palestinese esistono questioni irrisolte e gravi che perdurano negli anni. I detenuti politici nelle carceri israeliane, il conflitto interpalestinese tra Hamas e Al Fatah, la pressione dei coloni sionisti, l’embargo criminale contro la Striscia di Gaza.

I detenuti politici nelle carceri israeliane.
Secondo quanto ha riportato l’agenzia palestinese Maan, sarebbero almeno 5mila i palestinesi arrestati dall’inizio del 2008 da parte d’Israele, 700 dei quali catturati a Gaza. L’enormità della cifra di detenuti è corrispettiva a quel che sono state le incursioni sioniste in Cisgiordania (oltre 300), “territorio di Abu Mazen”. Il che, presupponendo in partenza la Cisgiordania come “territorio amico”, presenta un’ambivalenza: nonostante la vicinanza di Abu Mazen, Israele non è risparmiato nella repressione nemmeno fuori da Gaza; la dirigenza di Al Fatah ha svolto la funzione di “polizia d’Israele”, stanando i militanti di Hamas. Sono comunque 800mila i palestinesi passati nelle carceri israeliane dal 1967, 339 prigionieri della prima intifada (1987-1992) sono ancora dietro le sbarre, 11mila sono i palestinesi dislocati nelle prigioni dello Stato sionista. Infine, il 20 dicembre, è scoppiata una rivolta nel campo militare israeliano di Olfer, in Cisgiordania: 400 palestinesi ne hanno preso parte, i soldati hanno cercato di sedare le proteste sparando proiettili rivestiti di gomma, ricorrendo ai cannoni ad acqua e gas lacrimogeni. Il che segue di qualche giorno la liberazione di 227 detenuti palestinesi effettuata da Israele il 15 del mese, in occasione della ricorrenza musulmana della Festa del sacrificio. I media occidentali hanno presentato ciò come “gesto distensivo” dello Stato sionista, mentre ciò è comunque da inquadrare all’interno di una prassi non nuova durante le festività musulmane e anche come politica di “legittimazione” di Abu Mazen nei confronti di Hamas, difatti la maggior parte dei liberati appartiene a Fatah, nessuno ad Hamas.

Il conflitto inter-palestinese nei Territori Occupati. In coda a quanto detto rispetto alla minuziosa scelta politica dei prigionieri palestinesi da scarcerare è da segnalare anche la realtà interna dei Territori Occupati, attraversati da un conflitto inter-palestinese tra Hamas nella Striscia di Gaza e Fatah in Cisgiordania. La questione assume un rilievo importante visto l’avvicinarsi delle scadenze elettorali del 2009, elezioni presidenziali e legislative: le prime, che si sarebbero dovute svolgere nel mese di gennaio che viene, subiranno un rinvio di qualche mese; le due verranno accorpate in un’unica data, come richiesta da Fatah, l’enigma riguarderà l’omogeneità delle pratiche e dei tempi di voto a Gaza e Ramallah. Ciò è sicuramente solo una facciata di una questione che continua a vedere il presidente Abu Mazen sempre più volto al cercare una mediazione con Israele nei salotti della politica internazionale, non ritrovando assolutamente ricadute reali ma palliativi e subordinazione perenne. Lampante a riguardo è l’agibilità militare concessa agli Usa e il ruolo delle forze armate palestinesi in Cisgiordania: se da una parte il generale americano Keith Dayton sta riorganizzando le agenzie di sicurezza palestinesi con i 160 milioni di dollari elargiti dal Congresso, per la creazione delle Forze di sicurezza nazionali, dall’altra parte la polizia agli ordini di Ramallah continua l’opera di pulizia nei confronti dei miliziani di Hamas (quest’oggi Rajab al-Sharif, comandante del movimento di resistenza islamico, ricercato da anni dai sionisti, è stato arrestato a Nablus), agendo da scagnozo d’Israle.

Le colonie sioniste in Cisgiordania. L’espansione delle colonie ebraiche costituisce un altro problema per la vivibilità della popolazione palestinese, costretta a scontrarsi anche con il fanatismo dei settler israeliani. Le scorse settimane hanno visto tanti e diversi momenti di tensione, soprattutto a Hebron, all’interno della quale vi sono stati scontri dei fondamentalisti ebraici con i soldati sionisti e attacchi in direzione dei palestinesi di Cisgiordania. Il focolaio si è acceso ad Hebron come risposta all’evacuazione della “casa della discordia” occupata dai coloni, il che ha dato il là a quella che è stata chiamata “l’intifada delle colone”.

Il criminale embargo contro la Striscia di Gaza. Il suo mantenimento è stato uno dei motivi che ha portato Hamas e le forze politiche della Striscia di Gaza ad opporsi al rinnovo della “tregua”: perdura il criminale embargo che strozza la Striscia di Gaza per volontà dello Stato sionista, nel concerto del largo boicottaggio internazionale contro Hamas. Una politica cieca, che relega 1 milione e 500mila palestinesi della Striscia in condizioni di assoluta dipendenza dall’assistenza militare dell’Onu, che comunque non è sufficiente e che deve anch’essa fare i conti con la chiusura dei valichi da parte d’Israele, esempio diretto è dato dal carico di farina bloccato dal 9 dicembre scorso fuori da Gaza! Nella povertà e nella mancanza di coraggio del teatro della politica internazionale emblematico è il trattamento riservato da parte d’Israele nei confronti di coloro che si permettono di dissentire dalla linea dettata a Tel Aviv: Richald Falk, docente statunitense ebreo, relatore speciale dell’Onu per i diritti umani, per aver accusato il governo Olmert di crimini contro l’umanità nei confronti del popolo palestinese, è stato bloccato per tutta la notte del 15 dicembre all’aereoporto Ben Gurion, venendo poi espiulso dal ministero degli esteri israeliano perchè considerato “non obiettivo”. Dove non arriva la politica istituzionale riesce però la rete di solidarietà internazionale con la Palestina: la Dignity, imbarcazione carica di aiuti umanitari per la popolazione della Striscia, è riuscita nuovamente ad approdare a Gaza, è il quinto viaggio.

Le prospettive del post-rottura della “tregua”. La rottura della “tregua” ha riportato all’ordine del giorno la questione Gaza, nella difficoltà soprattutto del versante israeliano, assorbito dalla propaganda verso le elezioni anticipate del 10 febbraio. Di fronte alla decisione di Hamas e delle altre fazioni palestinesi di non rinnovare la “calma” sono da subito partite le dichiarazioni roboanti dei due pretendenti alla poltrona di premier dello Stato d’Israele. E’ in corso una rincorsa a destra: Tzipi Livni, candidata “centrista” di Kadima, e Benjamin Netanyahu, candidato conservatore del Likud, hanno esplicitato la loro volontà di sbaragliare con ogni mezzo il “regime di Hamas” a Gaza. La Livni è colei che ha schiacciato più di altri sull’accelleratore: “Lo Stato d’Israele, e un eventuale governo da me presieduto faranno del rovesciamento del regime di Hamas a Gaza un obiettivo strategico”, il che segue le dichiarazioni da ultranazionalista sugli arabi israeliani che dovrebbero tutti spostarsi nel nuovo Stato palestinese nel momento in cui nascesse… Nonostante sembra che il discorso voglia essere spostato di qualche mese sulla linea del tempo prossimo, non sono mancate le minacce anche dal “governo” in carica: il ministro della difesa Ehud Barak ha dichiarato che l’esercito sionista è pronto a rispondere. Hamas da parte sua ha risposto di essere pronta a reagire con ogni mezzo ad un eventuale attacco d’Israele, anche con gli attacchi suicidi. Sarà da vedere quale sarà quindi il futuro prossimo della Striscia di Gaza, caos calmo interrotto da omicidi mirati e raid aerei o invasione via terra dell’esercito sionista. L’ultima opzione, in questo momento, sarebbe sicuramente quella più rischiosa per lo Stato d’Israele, nel rischio di trovarsi, in una frangente provvisorio a livello di comando, con un fronte aperto a sud contro Hamas ed eventualemente con un altro fronte nord contro Hezbollah, movimento di resistenza libanese che, nei giorni scorsi, su invito del leader Hassan Nasrallah, è sceso con migliaia di persone in piazza a Beirut in solidarietà con il popolo palestinese e la sua resistenza.
di Aut.Pop