Mantova: chiude la raffineria, il punto di vista di un lavoratore

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Mantova è spesso descritta come capitale della cultura e culla del rinascimento, un gioiello architettonico, bene protetto dall’UNESCO.

Basterebbe voltarsi di 180 gradi, mentre si guarda il Castello di San Giorgio, per vedere la zona industriale che si estende sulla riva opposta dei laghi che abbracciano la città.

Dopo la Cartiera l’annuncio del gruppo ungherese MOL di fermare del processo di raffinazione da gennaio, rischia di lasciare a casa altri 350 lavoratori. Anche se probabilmente saranno 550 se si considera l’intero indotto.

L’architettura rinascimentale, potrebbe, tra poco dover competere con l’archeologia industriale, in un contesto in cui le contraddizioni tra difesa all’ambiente e alla salute e diritto al lavoro rischiano di esplodere come a Taranto, ma con meno clamore.

Senza una pianificazione collettiva, la definizione dello spazio territoriale si adatta alle tendenze economiche, all’accumulazione di profitto che può sostenere.

quando il conte Carlo Perdomini acquistò nel 1942 i terreni alle porte della città, sui quali nel ’46 fu inaugurata la ICIP, vedeva in Mantova non una città d’arte, ma un territorio agricolo da industrializzare.

La raffineria fu costruita grazie agli investimenti statunitensi del Piano Marshall, questi non giunsero per l’affetto a stelle e strisce per le “Bucoliche” di Virgilio, ma perchè la ricostruzione dell’Europa era il volano necessario per dominare l’economia mondiale.

La teoria classica che sta alla base dell’economia capitalistica è che una serie di interessi personali, competendo, possano produrre un’ interesse generale, un beneficio per le collettività.

Non sembra essere così: nel medio periodo questi interessi entrano in collisione e alle collettività rimangono i cocci di un vaso che sembra impossibile da ricostruire.

Abbiamo sopportato i rischi per la sicurezza dei lavoratori e della città, i tumori ai tessuti molli che hanno aggredito molte famiglie nei quartieri limitrofi, le puzze notturne e i risvegli con la torcia che si alzava sulle ciminiere, tutti questi pezzi si dovrebbero ricomporre per poter immaginare un futuro reale per tutto il sito produttivo che si affaccia sulla città.

Dovrebbero essere tanti pezzi di un unica lotta, che non chieda solamente “lavoro”, ma provi a ripartire dal momento in cui ci toglie lo sfruttamento del lavoro e ci lascia soltanto i costi dello sfruttamento ambientale.

 

 

 

Qual è stata la reazione dei lavoratori dopo l’annuncio della chiusura a gennaio?

 

Il clima è molto grigio, nulla ha rimandato ad un’azione di resistenza. Abbiamo autoconvocato un’assemblea in cui eravamo in 200 e sono passate anche le autorità.

Fuori dalla sala mensa ci si guardava in modo rassegnato e un po’ stupito.

Si terrà un presidio forse permanente come davanti la cartiera.

 

Come si sono mossi i sindacati presenti nell’azienda? (CGIL, CISL E UIL)

 

Ho avuto occasione di parlare con esponenti del sindacato di categoria, e l’idea è quella di cercare di mobilitarsi a livello di alte sfere sindacale per segnalare l’evento e arrivare in parlamento senza tralasciare sindaco e provincia

Un ripensamento della MOL lo vedo lontano…poi si tratta delle stesse istituzioni che sono quelli che ci hanno portato in queste condizioni…

PD e PDL sono parte del problema, e al 5stelle non interessa, perchè non hanno un ragionamento sul lavoro. Non c’è scissione per loro tra la TAV e la raffineria.

 

Quali rivendicazioni stanno portando al tavolo istituzionale?

 

La prima riunione seria sul come muoversi sarà martedì (8/10), i margini sono ancora strettissimi.

I rappresentanti dei sindacati intendono rivolgersi ai piani alti. Chiederanno sostanzialmente che la ies ripensi e cerchi altri inquirenti. La ies rimane come deposito, per le bonifiche non cambia.

Non si chiederanno subito gli ammortizzatori, anche se è molto difficile che la Mol ripensi alla sua posizione o che arrivino altri acquirenti per trovare una fabbrica da bonificare. Non ha senso.

Non ci sono soldi per salvare questo tipo di aziende.

 

Come mai non si è fatto niente anche se si sapeva?

 

Queste cose le puoi fare solo nel momento in cui hai accesso al bilancio finanziario…e sono molto difficili le relazioni tra lavoratori e cda, questo perchè la comunicazione è inevitabilmente a senso unico: chi parla (l’azienda) e chi ascolta (i lavoratori). Inevitabile perchè è stato accettato ormai da 30 anni questo sistema di organizzazione del lavoro. Poteva succedere in qualsiasi momento.

C’erano segnali però, nel dettaglio, impermeabili ai sindacati. E’ stato un piatto servito.

Ies-Mol ha fatto degli investimenti, alcuni imposti per legge, ed è stato erroneamente interpretato come un segnale di buona fiducia per il futuro… Capire come funziona una controllata di una multinazionale forse avrebbe aiutato a tenere la ‘antenne più dritte’.

Personalmente posso pure pensare che la Mol potesse già al momento dell’acquisto avere un’idea di un futuro come deposito, sito di stoccaggio e distribuzione.

 

L’arrivo del gruppo Mol e cosa è cambiato?

 

L’arrivo del gruppo ungherese ha sicuramente professionalizzato e formalizzato alcuni aspetti, sia lavorativi che di relazione tra la raffineria e le istituzioni cittadine.

Per esempio fino all’arrivo della MOL, molti dipendenti erano assunti a livello parentale.

Anche ad alti livelli c’era una continuità dell’imprenditoria locale.

Nell’amministrazione della fabbrica c’erano figli dei primi amministratori del dopoguerra.

Allo stesso tempo erano molto forti le relazioni tra mondo politico e raffineria. Il primo insabbiava l’inquinamento di aria e laghi, la seconda probabilmente ha sempre utilizzato gli utili per opere che la rendessero la sua esistenza “accettabile” alla popolazione.

 

Prima la ies era proprietà di 3 azionisti, non quotata in borsa, al contrario della Mol. Al momento della completa acquisizione del pacchetto azionario Ies, si è entrati in una dinamica economica e finanziaria sconosciuta fino a quel momento.

 

Come valuti le grandi questioni ambientali sollevate con ancor più urgenza di fronte allo smantellamento produttivo dell’area industriale di Mantova?

 

Sulla questione bonifica è tutto in divenire.

 

Difficilmente la lotta, o almeno ora faccio fatica ad immaginarmelo, potrà declinarsi dal punto di vista ambientale, anche perché ora la linea da seguire sembra essere quella di trovare un ‘padrone buono e lungimirante’.

Anche i lavoratori, faticherebbero al momento ad unire il discorso occupazionale ad un discorso ambientale.

I comitati ambientali dovrebbero ora sforzarsi di fare un ragionamento di collegamento con la questione occupazionale.

 

Insomma è un discorso che possiamo farci noi questo, che a livello politico fa parte tutto della stessa famiglia. É un lavoro che poteva essere fatto prima e la gente ha continuato a fare le sue scelte politiche verso persone che di queste cose non ne vogliono sentir parlare.

 

Le istituzioni e parte del mondo politico locale erano presenti, soprattutto il PD con tutti i suoi dirigenti, dopotutto la Cgil è il sindacato di maggioranza all’interno della raffineria.

Per adesso però l’importante è restare uniti perchè si rischia di fare i grilli parlanti.

 

Ci si è trovati in questa situazione senza avere nessun background politico rispetto al sapere come muoversi, nonostante le tante aziende chiuse, e ci si impantana nella logica del” finchè non succede a te non ci pensi.”

 

Serve ridiscutere l’organizzazione del lavoro e il modo di produzione, non c’è niente da correggere o da aggiustare. Il capitalismo keynesiano potrà tornare solo dopo una guerra nucleare. (risate)

 

Sono quelle cose che sembrano talmente lontane…