(SOPRAV)VIVERE NELLA FASE 2

(SOPRAV)VIVERE NELLA FASE 2
Alcune domande dopo le dichiarazioni del sindaco Palazzi

Alla fine, anche il sindaco di Mantova c’è cascato. Dopo nemmeno 30 ore dall’inizio della famigerata Fase 2, ecco che Mattia Palazzi ha avvertito la necessità di mettere in guardia i cittadini che «nei parchi non rispettano le regole», minacciandone la chiusura, addirittura citando come esempio malevolo il caso di alcuni bambini che si permettono di giocare a palla. Insomma, anche in riva ai laghi è arrivato il copione della irresponsabilità dei cittadini che non rispettano le regole. Regole, è bene ricordarlo, talmente contraddittorie e ambigue da essere continuamente oggetto di chiarimenti e interpretazioni da parte degli stessi componenti del Governo che le ha emesse.

Eppure, la grande maggioranza della comunità medica e scientifica ha evidenziato come la trasmissione del virus non si diffonda negli ambienti aperti come i parchi ma in tutt’altri contesti.
Riportiamo le parole di Carlo Federico Perno, virologo all’università di Milano e direttore del Dipartimento di medicina di laboratorio all’ospedale Niguarda: «La trasmissione primaria, verrebbe quasi da dire unica, ma non voglio esagerare, è tra persona e persona, in ambienti chiusi […] dove c’è aria ristagnante, dove c’è una persona infettante, con un virus altamente contagioso» (Radio3 Scienza, puntata del 27 aprile 2020).
Giovanni Rezza, direttore del dipartimento di malattie infettive dell’ISS, sul Sole 24 Ore ha dichiarato: «la sfida è quella della trasmissione intrafamigliare. Abbiamo centinaia di migliaia di persone in quarantena perché positive o a rischio di esserlo, che in casa non riescono a garantire il distanziamento necessario».
Il rapporto pubblicato dall’Istituto Superiore di Sanità in data 28 aprile rileva che contagi si sono verificati per il 48% nelle RSA, per il 10% in ospedali e ambulatori, e per il 22% all’interno delle famiglie. Inoltre, come pubblicato nel primo report sulle infezioni dall’INAIL, quasi la metà delle infezioni “professionali” (45,7%) riguarda infermieri e altri tecnici della salute, seguiti da operatori socio-sanitari (18,9%), medici (14,2%) e operatori socio-assistenziali (6,2%). L’85% delle infezioni “professionali” sono avvenute in strutture socio-sanitarie dove il personale ha lavorato rischiando la propria vita spesso a causa del mancato rispetto dei protocolli di sicurezza.

Davanti a questi dati e alle dichiarazioni del sindaco sorgono dunque spontanee molte domande.
Perché ancora una volta dobbiamo assistere ad un accanimento sui comportamenti individuali all’aria aperta che la scienza medica non individua come dannosi? Perché invece non dire in modo conclamato che di oltre 12 milioni di controlli effettuati in tutto il Paese dalle forze dell’ordine appena il 3.8% sono stati denunciati per contravvenzioni alle regole dell’ex art. 650?
Perché non ci si domanda per quale motivo non ci sia traccia di un piano sanitario strutturato e sistemico per contrastare l’epidemia? Perché non esiste un piano di prevenzione per l’isolamento domiciliare?
Perché non si cerca un intervento politico per concedere ai bambini un momento di svago e gioco, indispensabili e non rischiosi per la loro salute psicofisica, invece di additarli ancora una volta come potenziali untori o come minacce di un sistema che finora ha tutelato solo la salute dei profitti?

Abbiamo in più di un’occasione denunciato le criminali decisioni prese all’interno della Lombardia, (una su tutte la scelta di non istituire una tempestiva zona rossa in Val Seriana a fine febbraio) prese a seguito delle pressioni di Confindustria e affini. Di fronte alle vergognose falle del sistema sanitario nazionale e regionale, invece di intervenire per tutelare e potenziare la medicina territoriale o per garantire un efficace sistema di isolamento e tracciamento dei contagiati, si continua a puntare il dito contro le azioni individuali, spesso con l’effetto collaterale di indurre comportamenti che sono nocivi per la salute come l’utilizzo delle mascherine perfino durante lo svolgimento dell’attività motoria.
Anche a Mantova il sindaco ha finito per accodarsi a questa ambigua retorica che vede nella limitazione di qualsiasi attività di socializzazione l’unica soluzione praticabile per contrastare l’epidemia. Ma se questa Fase 2 è stata definita quella della “convivenza col virus”, per quale motivo non si cerca di individuare una socialità praticabile, invece di colpevolizzare chiunque si permette di tentare di vivere e non si limita a produrre, consumare e crepare?