BUONI O CATTIVI. Riflessioni sugli scontri di Napoli

Cos’è successo a Napoli? Chi è stato? Chi ha ragione? Sono domande a cui è difficile dare una risposta che non sia di pancia, comandata dall’emotività del momento o filtrata da prese di posizione aprioristiche.In meno di dodici ore si è già detto tutto e il contrario di tutto: “sono stati i fascisti, è stata la camorra, sono stati gli estremisti, sono stati i negazionisti” e così via.

Dal punto di vista della narrazione mediatica, subito si è puntato il dito contro le violenze, i tafferugli, i disordini, da condannare senza se e senza ma, delegittimando così a prescindere le posizioni e le rivendicazioni (pur confuse e contraddittorie) della piazza di ieri.Anche nel dibattito “a sinistra”, si è subito scatenata una corsa a separare buoni e cattivi, o peggio a etichettare tutto sotto l’egida della malavita e dell’estrema destra. Si tratta di un errore pericoloso, perchè se da una parte è evidente il tentativo di soggetti politici moribondi come Forza Nuova di mettere il cappello e appropriarsi di un dissenso e di un conflitto evidenti, dall’altra si corre il forte rischio di emanare sentenze senza effettivamente sapere chi e perchè è sceso in piazza ieri sera. E di regalare all’estrema destra la rappresentanza del malcontento che cresce, negando il dramma sociale in atto. Quella di ieri sera è stata un’esplosione figlia di una dinamica sicuramente molto complessa, ma, come riportato da Radio Onda D’Urto e dai suoi corrispondenti da Napoli, «non un’esplosione isolata e improvvisa.

Da giorni, infatti, in Campania, ci sono manifestazioni e iniziative contro le chiusure disposte dalla Regione senza che alle varie ordinanze di “lockdown” si accompagni alcuna misura di protezione sociale e di redistribuzione del reddito. Il tutto, in un corpo sociale – precari, studenti, lavoratori autonomi, partite Iva, oltre a un’ampia fascia di persone che sopravvive di piccola economia sommersa – già duramente segnato dalla prima chiusura totale della primavera 2020». Insomma, prima di giudicare è oggi ancor di più necessario cercare di comprendere e analizzare i motivi e le dinamiche che hanno portato agli scontri di ieri a Napoli: ad un approccio superficiale risulta che le proteste siano contro il coprifuoco, invece che contro l’assenza di misure sociali a supporto delle chiusure.Intanto De Luca continua a perseverare lungo una linea – soprattutto comunicativa – da gran visir locale, nascondendo dietro le esternazioni social la drammatica mancanza di interventi e di programmazione, sanitaria e sociale, che ha già iniziato a presentare il conto in termini di contagi, di strutture ospedaliere in grave affanno, di condizioni di vita drasticamente peggiorate per migliaia e migliaia di persone.

È la stessa dinamica che vediamo accadere in Lombardia con le scelte di Fontana e Gallera, uguali nella sostanza e appena più caute nella retorica. È la stessa dinamica che colpirà tutta Italia se non ci saranno cambi di rotta.Il conflitto sociale è per sua natura carico di contraddizioni, soprattutto in un momento storico in cui gli strumenti a disposizione per interpretare la realtà sono sempre meno e sempre più confusionari.

A livello istituzionale non c’è nessun interesse a cambiare le cose. Napoli ci insegna che una rabbia c’è, pronta ad esplodere. Una rabbia legittima, e per molti versi inevitabile. Capirla, organizzarla e incanalarla verso i giusti obiettivi è la sfida più grande che abbiamo davanti.