KOSOVO: QUATTRO ANNI DI CRIMINI IGNORATI

E’ il premier serbo Zoran Zivkovic a presentarlo al pubblico lo scorso 4 di novembre: il libro bianco è un dossier di duecento pagine che ripercorrono, con l’ausilio di mappe, testimonianze fotografiche e dati statistici, la tragica storia delle regioni serbe del Kosovo e della Metohija degli ultimi quattro anni. Il sottotitolo chiosa: “Terrorismo albanese e crimine organizzato nel Kosmet”, laddove Kosmet non è che l’acronimo di Kosovo e Metohija, nome istituzionale della regione che il pressappochismo occidentale ha ribattezzato “Kossovo”. Nella conferenza stampa di presentazione, Zivkovic ha specificato che si tratta di un dossier ufficiale, distribuito per informare l’opinione pubblica in merito alle azioni criminali del nazionalismo secessionista albanese, che sta logorando da tempo la fragile stabilità dei Balcani meridionali.Già dagli anni ’80 l’accanimento separatista albanese ha fatto della regione una polveriera; la situazione è poi precipitata con la furiosa campagna bellica anti-Milosevic condotta dall’Alleanza Atlantica nel ’99 e la susseguente conversione coatta del Kosmet in protettorato. Nel giugno 1999, al termine dei bombardamenti occidentali a danno della Repubblica Federale Jugoslava, in Kosovo si insediano gli uomini della Kfor e dell’Unmik, con il preciso intento di (far) applicare la risoluzione 1244: ed è proprio da quel momento, paradossalmente, che le minoranze della regione cominciano a subire un puntuale e sistematico trattamento di pulizia etnica, per lo più ignorata dai nostri mass media: questi ultimi quattro anni di terrore sono documentati dal libro bianco presentato a Belgrado.La risoluzione 1244, che è stata la base d’intesa per gli accordi di Kumanovo, e che definisce Kosovo e Metohija come parte della Federazione Jugoslava (ora Federazione Serbia e Montenegro) in qualità di regione autonoma, e garantisce il disarmo incondizionato di tutte le parti in causa, ha un valore tristemente nominale: nella “fittizia pace” imposta con le bombe, e gestita maldestramente dall’Occidente, la maggioranza albanese del Kosovo – forte delle sue istituzioni parallele pseudolegali – ha ridotto la minoranza serbo-ortodossa (ma anche i cittadini turchi, bosniaci e rom) alla ghettizzazione nelle enclaves, in un clima di terrore e di incessanti attacchi che hanno lasciato sul campo tanti morti quanti ne lascerebbe una comune guerra civile. I molteplici delitti -omicidi ad personam o efferate stragi- sono caduti via via nel dimenticatoio della storia recente, privi d’un colpevole certo; nulla si è fatto per interrompere la spirale di odio e di violenza antiserba, e il Tribunale dell’Aja si direbbe sordo ad ogni appello. La ‘regione autonoma’, in cui la maggioranza albanese detiene il controllo del potere con la forza della sopraffazione, è condannata ad un futuro di ‘narcostato monoetnico’, e il recente tentativo di negoziati a Vienna ha evidenziato l’assenza di una soluzione diplomatica adeguata. Gli albanesi del Kosmet non concepiscono che l’ipotesi secessionista, da realizzarsi in tempi brevi e con abbondanti spargimenti di sangue. “Lo scopo del libro bianco”, ha dichiarato Zivkovic, “è di invogliare i responsabili ad individuare e perseguire il crimine organizzato nella regione, e a fornire sufficienti prove al Tribunale Internazionale per i crimini di guerra nella ex-Jugoslavia affinché i giudici si occupino anche dei colpevoli albanesi”. Il libro, che è frutto del lavoro congiunto del ministero degli Interni della Repubblica di Serbia, delle Forze di Polizia e dell’Esercito, contiene i nomi degli appartenenti alle bande terroristiche che operano nell’aerea, molti dei quali letteralmente a piede libero e sotto il vessillo delle Nazioni Unite. Nel dossier è spiegato come l’Uck (il propagandato ‘esercito di liberazione’, calorosamente spalleggiato nel ’99 dalla Nato, che fino a pochi anni prima lo annoverava nelle ‘formazioni terroristiche da debellare’) sia stato quasi totalmente assimilato dalle nuove forze di “vigilanza” postbelliche: il popolare Kosovo Protection Force, che avrebbe dovuto essere il simbolo di una smilitarizzazione della regione e di un ipotetico ritorno ai più basilari principi di democrazia e si è rivelato, in realtà, uno strumento banditesco patrocinato (o forse solo tollerato?) dalle forze internazionali. Nei dettagli, il libro bianco raccoglie le testimonianze in merito agli attentati nel Kosmet e nel sud della Serbia che, dal 6 giugno 1999 al 23 agosto 2003, hanno raggiunto la spaventosa cifra di seimila attacchi, causando un migliaio di vittime, per lo più di etnia serba, e per lo più civili. In aggiunta, sono quasi trecentomila i cittadini non albanesi espulsi dalla regione, relegati al ruolo di profughi senza chance di ritorno alle proprie abitazioni, e si contano anche un migliaio di desaparecidos: ma il numero delle persone rapite ed uccise potrebbe essere verosimilmente raddoppiato, perché in assenza di strutture democratiche e di condizioni minime di sicurezza, a prevalere nel Kosmet è la dialettica del Far West. Particolare attenzione è rivolta all’Esercito Nazionale Albanese (Ana/Aksh in sigla), un’organizzazione militare terroristica, ampiamente finanziata dalla diaspora albanese nel mondo e compresa nell’ombrello del terrorismo panislamico, della cui esistenza l’Onu non ha mai fatto mistero, e che trova ampio sostegno ideologico (e materiale) nella regione. L’Ana, che ha già dalla sua un vasto assortimento di omicidi e di atti terroristici, è agente destabilizzante non solo nelle regioni del Kosovo e Metohija, ma anche nella Serbia meridionale ed in Macedonia. Si tratta di un esercito di guerriglia organizzato in veri e propri reparti militari, opportunamente dislocati nel sud dei Balcani: dalla divisione Jashari con base a Gnjilane alla divisione Skandenberg con base nella Macedonia occidentale, dalla divisione Malesia con base a Ulcinj (Montenegro) alla divisione Chameria di stanza nel nord della Grecia. Obiettivo dell’Esercito Albanese (che aveva anche un fantomatico sito internet, www.aksh.org, ora rimosso) sarebbe la “liberazione” di tutte le terre abitate da cittadini albanesi (Serbia del sud e Kosmet, Macedonia, parte del Montenegro e della Grecia) e la formazione di una Grande Albania Unita. Un altro dei troppi deliri di grandezza balcanica che l’Occidente sfrutta e cavalca con grande disinvoltura, pronto a spargere lacrime insincere sul latte versato quando i cadaveri -anziché in centinaia- si conteranno in migliaia. Il libro bianco fornisce risposte ed informazioni -forse non richieste dalle cancellerie di mezzo mondo, per le quali il Kosmet resta una dolorosa spina nel fianco-, a cominciare dall’elenco di 156 ex-leaders dell’UCK che – con l’alibi del patriottismo e non di rado indossando la divisa cucita ad hoc dalla Kfor – si spartiscono la ricca torta del narcotraffico. Il libro bianco, che include anche le dichiarazioni di organizzazioni e autorità unanimemente considerate come super partes – dall’ultimo allarmante comunicato delle Nazioni Unite ai reportages di Amnesty International, dai numerosi appelli del patriarca Pavle della Chiesa Ortodossa Serba alle richieste di patrocinio dell’Unesco per i numerosi monasteri minacciati dalla furia della guerriglia – è il primo documento del genere ad essere pubblicato. Più che di una petizione ‘morale’, infatti, si tratta di un monito istituzionale: non a caso viene presentato nella stessa settimana che ha visto il ministro della Giustizia Vladan Batic presentare le sue rimostranze in via ufficiale per il mancato arresto di Agim Ceku, noto ai più con il soprannome di “macellaio dei Balcani”: un delinquente impunito per Belgrado che ne richiede l’estradizione, ma un leale alleato per la Kfor che, dando un colpo al cerchio ed uno alla botte, gli assicura libertà di azione ed immunità.

Di Babsi Jones.

(lunedì 10 novembre 2003)


Migliaia di vittime e di desaparecidos per lo più civili e di etnia serba. Trecentomila cittadini non albanesi espulsi. I nomi degli appartenenti alle bande terroristiche che operano nell’aerea. A piede libero e sotto il vessillo delle Nazioni Unite. Duecento pagine ripercorrono, con l’ausilio di mappe, testimonianze fotografiche e dati statistici, la tragica storia delle regioni serbe del Kosovo e della Metohija degli ultimi quattro anni. E’ un libro bianco presentato dal premier serbo Zoran Zivkovic che raccoglie le testimonianze della popolazione che, dal 6 giugno 1999 al 23 agosto 2003, ha subito circa seimila attacchi.