PERCHE’ I CPT VANNO CONSIDERATI CARCERI RAZZIALI

Tale circostanza da un lato ci illumina sulla retorica delle pratiche di controllo a tolleranza zero nei confronti dei migranti, dall’altro evidenzia i limiti della razionalità e dell’efficacia dei CPT dinanzi alla presunta emergenza che vorrebbero governare. Premesso che è tutta da appurare la presunta pericolosità dei migranti detenuti e che l’equiparazione tra clandestinità/criminalità e terrorismo appare assolutamente artificiosa e arbitraria, lasciarli liberi di andare, dopo sessanta giorni, tradisce di per sé, quelle esigenze di ordine pubblico e sicurezza a partire dalle quali si vuole invece giustificare il ricorso ai cpt.In secondo luogo, se è vero che i CPT sono veramente preposti a proteggerci dal “problema dei biblici flussi di migranti”, le cifre relative alle espulsioni, che non vanno oltre il 10% dei casi (dati Caritas 2002), confermano nuovamente l’assoluta irrazionalità, anche economica, della loro esistenza.C’è poi da sottolineare che la genesi dei flussi migratori è problema di ordine planetario difficilmente sanabile con il ricorso a quelle che più realisticamente appaiono come carceri razziali. Legislatori e cittadini dovrebbero soffermarsi a riflettere, in maniera più puntuale, su quali sono le dinamiche globali che effettivamente inducono all’esodo. In questa prospettiva, ci pare che le guerre umanitarie, preventive e permanenti, insieme ai precetti del WTO e di Banca Mondiale, contribuiscano non poco all’incremento del numero dei profughi – economici e non – nei paesi occidentali, che, tuttavia, non smettono di assegnare ipocritamente al solo individuo la responsabilità della propria vicenda migratoria.E così, anche per i richiedenti asilo provenienti dal Kosovo, dall’Iraq, dall’Afghanistan e da molti altri paesi ancora, nascono grazie alla legge Bossi-Fini nuovi campi di contenimento, definiti centri di accoglienza e identificazione che, privando chi è li rinchiuso della libertà di movimento e come spesso accade di una adeguata difesa legale, di nuovo si caratterizzano in quanto palesemente incostituzionali (art. 10, 2° comma).A livello locale, ci preme ricordare quindi che calabresi, siciliani e pugliesi non vanno fieri delle strutture carcerarie presenti sui loro territori, anzi ne farebbero volentieri a meno. E questo ancor di più ove si dovessero accertare gravi abusi e maltrattamenti al loro interno come, ad esempio, paiono emergere dalla gestione della cooperativa Malgradotutto del cpt di Lamezia Terme, ovvero come quelli che hanno già portato alla chiusura del cpt di Bari-Palese e a 19 rinvii a giudizio per gli operatori del cpt regina pacis di Lecce.A partire da queste ragioni chiediamo con insistenza agli uomini e alle donne della nostra regione di partecipare il 31 gennaio, giornata europea di mobilitazione contro i CPT, alla manifestazione che le realtà calabresi, riunite nell’Osservatorio regionale su i cpt, indicono di fronte al centro S. Anna di Crotone.

Osservatorio calabrese sui CPT


A chi sostiene che i centri detentivi per migranti vanno elogiati poiché in grado di contenere potenziali criminali e fantomatici terroristi, vorremmo ricordare i reali meccanismi che ne articolano il funzionamento. Ciò che accade, infatti, è che trascorsi i sessanta giorni di reclusione (e cioè il limite massimo di detenzione previsto dalla Bossi Fini) raramente i migrati vengono rimpatriati, nella maggior parte dei casi, sono semplicemente invitati a lasciare, entro 5 giorni, il territorio nazionale.