SURREALITY SHOW

Un prete vuole fare il Grande Fratello, il cardinal Tonini (chiesa cattolica) si scandalizza e il cardinal Confalonieri (Mediaset) pone il veto. Intanto ci becchiamo i vip che fingono di fare lavori normali, i finti fidanzati che si beccano come galline rimproverandosi scarsa produttività domestica e corna, per non dire dei morti di fama scaricati sull’isola (e poi, ahinoi, riportati indietro). Esattamente come per i bond-patacca non si può dire che sia una tendenza tutta italiana. In America usa il ribaltamento: si prendono rampolle ricche sfondate e le si fa lavorare in fattoria; in Gran Bretagna si mette gente in uno stanzone e, sotto l’occhio delle telecamere, si vede quanto resistono senza dormire. Ancora in America, l’idea migliore, una manciata di aspiranti capitalisti si mettono (sempre in diretta) al servizio del signor Trump, che gli affida vari incarichi nel campo dell’economia e della finanza: gli umani verranno licenziati uno a uno e gli squali – dopo aver dimostrato le loro apprezzabili doti di figli di puttana – verranno invece assunti in pianta stabile. E’ forse il più “real” dei “reality show”, quello che riproduce meglio la vita vera e il modo in cui gira il mondo. Ora si sa, prendersela con la tivù è partita persa e passatempo ozioso. Ma colpisce il cortocircuito delle parole, perché più si usa il termine “reale” per la fiction, e più diventa fiction la realtà.

Basti, a conferma, l’osservazione di certi programmi impropriamente chiamati “telegiornali” dove si apre con il tempo (meno due gradi a Bolzano in gennaio? Pazzesco!), si prosegue con l’ultimo calendario con le tette, poi con i recenti amori del calciatore famoso, e si chiude con la passione dei giovani per i telefoni che fanno i filmini. Oplà, ecco garantito il pluralismo dell’informazione (e la prevalenza delle cazzate). Eppure di reality show, quelli veri, ci sarebbe un gran bisogno. Per esempio sarebbe divertente piazzare telecamere e microfoni a casa del tranviere, magari quando calcola che con un anno di stipendio può comprarsi sul mercato immobiliare milanese ben 1,6 metri quadrati di casa in periferia. Oppure riprendere – in diretta e senza trucchi – le prescrizioni mediche di un qualsiasi spogliatoio di una squadra di calcio, roba da far sembrare dilettanti pure quelli del cartello di Medellin. O ancora, spiare per il gusto del pubblico-voyeur, le chiacchiere in libertà in qualche cella del carcere di Parma, che in questi giorni pare la sede di un master in finanza creativa.

Ogni tanto succede. Per esempio era un ottimo reality show quello di Report, in cui veri ferrovieri mostravano che la sicurezza sui treni è un costoso optional, una seccatura, che la loro busta paga è infarcita di trucchi e di straordinari. Grande successo di pubblico, ma non di critica, visto che le Ferrovie non hanno gradito, hanno licenziato i ferrovieri protagonisti e chiesto un sacco di soldi alla Rai, tanto per intimidire un po’. Stessa cosa per il reality show di Enrico Deaglio che ha osato fare qualche domanda al direttore dell’Economist: Sacrilegio! Ogni qualvolta si affaccia in tivù la vita vera, quella reale davvero, della gente normale, ecco l’alzata di scudi, l’accusa di faziosità, di attentato al pluralismo. Scomparse dagli schermi le massaie con la borsa della spesa, gli operai con il posto in bilico, i tranvieri incazzati, la famosa “piazza” insomma, eccoli tutti sostituiti con una “realtà” più comoda e funzionale al surrealismo corrente. In fondo è lo stesso meccanismo paraculo con cui si calcola l’inflazione ai tempi di Silvio e del colera: c’è la realtà “percepita”, quella “reale” e quella “ufficiale”, tranquillizzante come una sniffata di cloroformio. L’unica, alla fine, a cui è concesso di andare in onda senza censure.


di Alessandro Robecchi

Se vendessero i bond sulle cazzate, quello sì sarebbe un investimento certo, strumento finanziario di sicura riuscita: il comparto non è mai in crisi e anzi mostra impennate notevoli. Ora, a sentire le anticipazioni, dobbiamo aspettarci una recrudescenza dei “reality show”, spettacolini televisivi basati sull’osservazione della cosiddetta vita reale, il che, in un paese in cui domina il surreale, pare assai fantasioso. Il dibattito impazza.