CONTRATTI A PROGETTO

Resta fondamentale il carattere autonomo del rapporto.

L’articolo 61 del decreto legislativo 276/03 definisce il lavoro a progetto come quello riconducibile a «uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso». Va evidenziato che l’articolo 4 della legge 30/03 faceva riferimento a «uno o più progetti o programmi di lavoro o fasi di esso»: l’inserimento dell’aggettivo «specifici» non è privo di significato, se lo si raffronta ancora con l’indicazione del Libro bianco «un progetto o un programma di lavoro, o una fase di esso».

Questi progetti specifici o programmi di lavoro o fasi sono determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato. Resta salvo il coordinamento con l’organizzazione del committente ed è irrilevante il tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa. Al di là di ogni lecita speculazione sul fatto che con tale definizione si sia posto fine alle collaborazioni coordinate e continuative o, come altri sostengono, nulla sia cambiato, pare fuor di dubbio che il «progetto, programma di lavoro o fase di esso» debbano essere correttamente individuati, perché su di essi si fondano le nuove collaborazioni coordinate e continuative.

Si potrebbe osservare che, in buona sostanza, una corretta lettura dell’articolo 47, lettera c-bis del Tuir (ora articolo 50) porterà a individuare le attività che possono (e potevano) essere oggetto di un contratto di c ollaborazione coordinata e continuativa e all’individuazione caso per caso del progetto. A ben guardare, il dato necessario della mancanza di subordinazione imponeva già di escludere dai possibili rapporti di collaborazione coordinata e continuativa tutti quelli che fossero connotati dalla eterodirezione e, perciò, privi del requisito dell’autonomia.

È dunque del tutto legittimo chiedersi il perché di una modifica così radicale dell’istituto che ora, come si è visto, poggia su «uno o più progetti o programmi di lavoro o fasi di esso». Va peraltro annotato che la loro mancanza inficia i rapporti instaurati e, a norma dell’articolo 69 del decreto di attuazione, li riconduce a rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione del rapporto. Il che non pare davvero un aspetto secondario del problema, se solo si vuol pensare alle conseguenze che una tale eventualità porterebbe con sé.

L’individuazione del progetto è dunque essenziale per l’instauraz ione di un rapporto di lavoro a progetto a far data dal 24 ottobre 2003. A chiarire tali concetti interviene ora la circolare 1 dell’8 gennaio del ministero del Lavoro, che si occupa appunto del contratto di collaborazione coordinata e continuativa nella modalità «a progetto».

Il progetto è definito come consistente in un’attività produttiva ben identificabile e funzionalmente collegata a un determinato risultato finale e si aggiunge che esso può essere connesso all’attività principale o accessoria dell’impresa.

Per quanto attiene al programma, si specifica che esso deve consistere in un tipo di attività cui non è direttamente riconducibile un risultato finale e, anzi, il programma di lavoro o la fase di esso si caratterizzano per la produzione di un risultato solo parziale destinato a essere integrato, in vista di un risultato finale, da altre lavorazioni e risultati parziali.

Non si può affermare, nonostante gli sforzi prodotti con la circolare, che adesso il quadro opera tivo sia chiaro per i collaboratori coordinati e continuativi e neppure per le imprese che delle loro prestazioni si sono avvalse. Pare necessario qualche ulteriore sforzo di chiarificazione sulla questione del «progetto, programma di lavoro o fase».

Non è da escludere, infatti, una migrazione nemmeno tanto leggera verso altri rapporti di lavoro. Se, però, il «progetto, programma di lavoro o fase» possono e debbono essere intesi come correttivi necessari a un sistema di lavoro sicuramente perfettibile, ma che ha segnato in questi ultimi anni uno sviluppo marcato, non transitorio né destinato a esaurirsi, è allora necessario, nell’interesse dei lavoratori e delle imprese, chiarire meglio la disciplina, onde evitare facili e costosi contenziosi o, cosa ancora peggiore, il riemergere di forme di lavoro non chiare.

Uno per uno gli elementi che non possono mancare

Il contratto di lavoro a progetto deve essere stipulato per scritto, anche se la forma è richiesta ai soli fini probatori e non è posta a pena di nullità. Appare, infatti, fortemente a rischio un rapporto di siffatta natura instaurato senza tale procedura, stante che la mancanza dell’atto riduce fortemente le possibilità di provare l’esistenza del progetto o del programma, la cui mancanza fa sì che il rapporto si consideri di lavoro subordinato.

L’articolo 62 elenca gli elementi che debbono essere indicati nel contratto:

il progetto o programma di lavoro, o fasi di esso, del quale debbono essere individuate dal committente caratteristiche e contenuti, e che il collaboratore dovrà svolgere in piena autonomia;

la durata, determinata o determinabile, della prestazione di lavoro. Il contratto non può essere a tempo indeterminato, bensì deve prevedere la data entro la quale il progetto o programma deve essere terminato, ovvero deve stabilire un evento certo di cui non sia, invece, noto il momento;

il corrispettivo e i criteri per la sua determinazione, nonché i tempi e le modalità di pagamento e la disciplina dei rimborsi spese. Il compenso deve essere proporzionato alla qualità e quantità del lavoro prestato e deve tenere conto di quanto normalmente corrisposto per analoghe prestazioni di lavoro autonomo;

le forme di coordinamento del lavoratore a progetto con il committente sull’esecuzione, anche temporale, della prestazione lavorativa. In ogni caso tali forme non possono pregiudicare l’autonomia nell’esecuzione dell’obbligazione lavorativa;

le eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto, che dovranno necessariamente tenere conto della sua natura di lavoratore autonomo.

Particolare attenzione dovrà porsi alle forme di coordinamento del lavoratore a progetto che, specifica la norma, possono essere anche temporali, il che indubbiamente corrisponde all’inserimento funzionale del collaboratore nell’organizzazione del collaboratore, ma altrettanto certamente non deve rappresentare una limitazione all’autonomia dello stesso.

La necessità di inserire nel contratto la descrizione del progetto o del programma e le modalità di esecuzione in modo sufficientemente analitico fa sì che sia opportuno sdoppiare il documento contrattuale (si veda lo schema pubblicato qui a sinistra).

La risoluzione del contratto è strettamente connessa con la realizzazione del progetto o del programma o della fase di esso che ne costituisce l’oggetto. Rimane ferma la possibilità di risoluzione anticipata per giusta causa, così come le parti potranno stabilire, nel contratto, la possib ile risoluzione prima del termine concordando le causali e le modalità, fra cui il preavviso.

Altre clausole possono evidentemente aggiungersi a quelle stabilite dalla legge che, comunque già regola alcune tutele (diritti di autore, assenze) e alcuni obblighi del collaboratore (riservatezza, divieto di concorrenza, eccetera). In tal senso il secondo comma dell’articolo 64 stabilisce il divieto per il collaboratore di diffondere notizie e apprezzamenti attinenti ai programmi e alla loro organizzazione, o di compiere, in qualsiasi modo, atti in pregiudizio dell’attività dei committenti.

26 gennaio 2004

di Alfredo Casotti e Maria Rosa Gheido


Alcune informazioni sui contratti che sostituiranno i cococo.